Quantcast
Channel: La morte sa leggere
Viewing all 212 articles
Browse latest View live

Carter Dickson (John Dickson Carr) : Persone o cose ignote (Persons or Things Unknown, 1938) in Delitti di Natale, trad. Dario Pratesi, I Bassotti, Polillo, 2004

$
0
0

DelittiA 13 anni fa risale quella che io reputo una delle migliori raccolte di racconti in assoluto, proposte da Polillo: Delitti di Natale. Fu tale il successo di questa raccolta (7 edizioni) , che qualche anno dopo fu proposto un sequel dal titolo “Altri Delitti di Natale” che ebbe anche un discreto successo (3 edizioni).  E’ una riprova – se mai ce ne fosse bisogno – del fatto che  quando qualcuno ha le capacità e ha la voglia supportata dalla passione nel proporre qualcosa di valido, la fortuna e il supporto di chi riconosce le fatiche e anche gli investimenti, non mancano.

In questa raccolta furono raccolti molti celebri racconti: uno – Persons or Things Unknown di Carter Dickson, l’ho esaminato nel mio nuovo blog da poco aperto; un altro lo esamineremo ora. Si tratta di un  meraviglioso racconto di Ngaio Marsh, Death on the Air, tradotto in italiano col titolo inventato “Il morto che ascoltava la radio” (ma che fantasia che ha Marco Polillo!).

Il racconto dà il titolo ad una raccolta – di cui fanno parte altri due racconti già pubblicati in America (I Can Find My Way Out, 1946; Chapter and Verse: The Little Copplestone Mystery ,1974); cinque brevi storie (The Hand in the Sand, The Cupid Mirror, A Fool about Money, Morepork, My Poor Boy, Moonshine, Evil Liver, sceneggiatura di un episodio della serie Crown Court registrata in Inghilterra nel 1975),e due saggi inediti: Roderick Alleyn e Portrait of Troy – pubblicata nel 1995 per la prima volta in Gran Bretagna: Death on the Air and Other Stories. La raccolta è stata poi allargata, comprendendo oltre che i contenuti originali, anche una breve storia recentemente scoperta, The Figure Quoted.

Dickson-QueerDico subito che a mio parere, il titolo originario sarebbe stato ironicamente più efficace: morte nell’aria. Riferendosi alle onde elettromagnetiche che facevano sì che funzionasse la radio.

Il racconto curiosamente richiama altre opere : Into Thin Air di Winslow & Quirk, o Thin Air di Howard Browne, l’uno con un delitto Impossibile, l’altro che pur essendo un hard-boiled sembrerebbe ricorrere anche  in esso un delitto impossibile. Solo che qui delitto impossibile non vi è, semmai un delitto che nella forma quando viene scoperto sembra che sia almeno bizzarro: un morto stecchito, rigido come un baccalà, che sembra da morto che stia lì a sintonizzare la radio.

La magia del racconto non sta tanto nel fatto che il delitto avvenga la notte di Natale, ma che la vittima muoia mentre sta apprestandosi a cercare una stazione radio. La magia e l’evocazione di un oggetto oramai diventato un optional quasi senza valore oggi, ma che un tempo costava, eccome! Era il solo strumento che mettesse in comunicazione col mondo esterno, con l’estero anche, qualsiasi essere umano. Ora ci ridiamo sopra, ma un tempo la radio, e soprattutto la bella radio, quella da salotto, era un oggetto prezioso. Mi ricordo quella di mio nonno materno, con delle manopole color giallino di bachelite.

Beh, sono di bachelite anche le manopole che Settimius Tonks cerca di girare ogni volta che si appresta alla sua radio, uno strumento fatto su misura, e quindi costoso. E’ la sola passione oltre agli affari che gli riconoscono tutti.

4ce166759d9a0aa5b3c296fb80762837Settimius Tonks è il padre-padrone di una famiglia benestante, che tiranneggia con violenza autoritaria. Tutti lo odiano per come ha ridotto i figli Guy e Arthur a degli smidollati, incapaci di prendere decisioni autonome sul loro futuro senza che il loro padre-padrone esprima il suo definitivo punto di vista; per come ha fatto della figlia, Phipps, un’altra vittima; e per come ha ridotto ad una larva, la moglie Isabel. Non manca persino il suo segretario privato, Hinslop, in questa teoria di vittime, giacchè il suo padrone gode a più non posso a umiliarlo, sicuro del fatto che il sottoposto non proverà a licenziarsi in quanto vedovo con due figli che da lui interamente dipendono. Insomma una casa padronale in cui la pace non regna,  a meno che qualcuno a turno non venga schiacciato e accetti di non ribellarsi. Persino il maggiordomo Chase, l’ultimo di una serie di domestici puntualmente licenziatisi, dopo solo due mesi, medita di licenziarsi, credendo completamente pazzo il suo principale.

E’ chiaro che in un ambiente del genere possa anche venire a qualcuno il pensierino dell’omicidio. Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare, recita il proverbio.: infatti nessuno dei vari soggetti di quella casa sembra esserne capace.

La sera del 24 dicembre accade un altro putiferio: viene umiliato ancora una volta Hinslop, e subito dopo tra lui e la figlia del tiranno scocca il momento di riconoscere che ognuno è innamorato dell’altro: non si tratta di due persone affascinanti, ma proprio mediocri, ma che nella propria mediocrità, nella propria inutilità, si sentono finalmente non mediocri né tantomeno inutili. Ma vengono scoperti e all’ira che colpisce il segretario si aggiunge quella che colpisce la figlia; e poi ovviamente a farne le spese è la madre, che ha permesso che la figlia potesse avere un sentimento siffatto nei confronti di un segretario, di un dipendente di condizione assai modesta.

I due altri figli, Arthur e Guy sono andati via.

Il padre, ritornato nello studio, si chiude per sentire la sua radio.

dipartimento.phpL’indomani mattina, la mattina di Natale, la cameriera aprendo lo studio, sobbalza quando una voce augura Buon Natale: è quella proveniente dalla radio. Voltandosi vede che il suo padrone è lì che è piegato intendo ad armeggiare alle manopole; si avvicina, poi vede che ha ancora l’abito da sera e poi…capisce che è morto. In men che non si dica il trambusto attrae Chase che vedendo l’espressione orribile del padrone, capisce che è morto, e non certo di morte naturale. Fa chiamare il medico di casa, il dottor Meadow, il quale davanti al maggiordomo ammette che Settimius sembra essere morto per una scarica elettrica: ha infatti il pollice e indice e medio della mano destra anneriti e bruciacchiati. E davanti ai figli, che temono un’inchiesta e lo scandalo, afferma di non potersi esimere dal chiamare la polizia: e a chi vuoi che diano la patata bollente se non all’Ispettore Capo del CID Roderick Alleyn? Il quale si presenta assieme al suo braccio destro, l’Ispettore Fox, e a degli agenti. E si mette all’opera.

Scopre ben presto quale tana di odio sia quella casa, e quanto i figli, la moglie, il segretario e persino i domestici odiassero il vecchio e ne desiderassero in cuor loro la morte certa. Visto che i moventi abbondano, e che anche il suo fido aiutante sente, come lui, puzza di bruciato (una radio, testata per non causare scosse, è poco probabile che ne abbia generata una capace di uccidere e poi abbia continuato a funzionare), comincia a volerci vedere chiaro, dopo aver parlato col dottore e aver capito che lui, senza darvi eccessivo peso, ha capito benissimo che il morto è deceduto per una scarica elettrica causata dalla radio. Anche se non si riesce a capire come possa essere accaduto: infatti, ammesso che vi fosse stata una scossa, essa non sarebbe bastata da sola ad uccidere, ed anzi avrebbe causato solo un certo pizzicore.

Smontata la radio, Alleyn, la cui vista e perspicacia sono proverbiali nel mondo del mystery, si accorge che i pomoli del bastone della tenda sono estremamente simili a quelli di bachelite, tanto da potersi confondere, anche se sono di metallo. Sfilati, vi trova all’interno dei residui di carta assorbente, che trova anche intorno ai perni su cui le manopole di bachelite sono avvitate; inoltre, quasi nascosti dalle stesse manopole, sono stati praticati nel legno dei minuscoli fori senza che si capisca a cosa potessero servire. A quel punto un’idea peregrina si fa largo nella mente dei poliziotti: e se attraverso quei fori non fossero stati fatti passare dei fili elettrici che avessero messo in contatto le manopole di metallo con l’interruttore posto dietro la radio? Cioè cominciano a sospettare che qualcuno abbia sabotato la radio col fine di ucciderne il proprietario.

portaDopo aver trovato nel quadro comandi, una valvola sostituita in un contatto che porta segni evidenti di un corto circuito; dopo aver saputo che ad una certa ora della sera prima la radio aveva cessato di funzionare e le stufette improvvisamente si erano spente, ma poi si era rimessa in funzione e così anche le stufette; e soprattutto dopo che il maggiordomo ha rivelato una cosa di fondamentale importanza, un gesto che compiva il padrone di casa, anche allo scopo di esasperare il suo segretario (ma che lo aveva reso molto più sensibile ad una scossa mortale), capisce come abbia fatto l’ingegnoso assassino ad uccidere, e dopo aver passato in rassegna i vari alibi, e aver capito che anche l’assassino oltre agli altri conosceva quel particolare, ne provoca la confessione, facendo leva sul rimorso e sulla sua “bontà d’animo” non potendo sopportare che un altro essere innocente venga impiccato al suo posto.

Il racconto finisce quindi con una nota assai malinconica che contrasta con la gioia del Natale, anche se nella notte precedente di Natale, non è detto che Babbo Natale non abbia portato il suo regalo in quella casa: la morte del tirannico despota. Tuttavia anche qui, come in altri casi, l’omicida non è un malvagio che uccide per il gusto di farlo o perché spinto da furore, avidità, interesse, odio personale, ma è un “buono” che ricorre all’omicidio per salvare il proprio e l’altrui amore. E’ il genere di assassino che talvolta i vari detectives di carta proteggono dandogli modo di scappare, che si tratti di Poirot, o Sherringham o anche Alleyn. Perché Alleyn permette che fugga all’impiccagione…uccidendosi col cianuro: anche quella è una fuga, o no?

Il racconto non si vorrebbe che finisse! E’ questa la sensazione che ho avuto: una splendida prova di finezza, gusto e una scrittura evocativa, dialoghi brillanti e la capacità di condensare magicamente in trenta pagine una storia che altrove lo sarebbe stata in trecento.  Io amo Ngaio Marsh. E per di più questa è un’opera della fine degli anni trenta, il massimo del fulgore della scrittrice neozelandese.

Roderick Alleyn, che è figlio di una aristocratica (infatti sarebbe Sir in effetti e tale sarà quando arriverà al grado di Commissario, cioè baronetto) riceverà il titolo non per ceto ma anche per prestazioni lavorative, e già questo lo rende al lettore un personaggio simpatico: non è certamente il detective snob alla Sherringham, né tantomeno un lord tipo il Wimsey della Sayers, ma è più vicino  alla borghesia cittadina, e come il Poirot della Christie o il Sergente Beef di Leo Bruce o il John Appleby di innes anche lui divenuto Sir col tempo per meriti di lavoro, coniuga nella stessa figura dell’investigatore anche quella del poliziotto (Poirot è un ex poliziotto belga). Ma se Poirot talora è antipatico in quel suo saper tutto, e nelle sue manie, Alleyn è garbato, signorile nei modi, così diverso dai rozzi poliziotti, ma affabile, educato e rispettoso come ogni lord che si rispetti ( e lui lo è anche se ha fatto di tutto per non vivere di rendita).

Lo stile è scorrevole e sontuoso, e la lettura è una piacevole, molto piacevole esperienza.

Perché la Marsh sapeva scrivere, senza mai tracimare, andare oltre. Che fosse racconto o romanzo, l’opera è come se fosse un quadro, perfetto nelle  sue dimensioni. E quindi bisognerebbe che si possedesse un senso artistico sviluppato.

Del resto, come diceva la stessa Marsh, You must be able to write. You must have a sense of form, of pattern, of design. You must have a respect for and a mastery over words.

La grandezza non si improvvisa, e tantomeno ci si può improvvisare nello scrivere.

Pietro De Palma

The post Carter Dickson (John Dickson Carr) : Persone o cose ignote (Persons or Things Unknown, 1938) in Delitti di Natale, trad. Dario Pratesi, I Bassotti, Polillo, 2004 appeared first on La morte sa leggere.


NUOVO ARTICOLO SULLA SERIE DI APOCRIFI DI S.H. A BREVE

Pubblicato nuovo editoriale su La Morte sa leggere 2

$
0
0

Come annunciato il mio nuovo editoriale dal titolo ” DEI ROMANZI APOCRIFI SHERLOCKIANI E DI VARIE ALTRE JATTURE“, è da oggi presente sul mio nuovo Blog La Morte Sa Leggere 2.

Si parla della controversa serie dei romanzi apocrifi sherlockiani, regalando qualche nota storica sui vari apocrifi sherlockiani e proponendo quelli che per me sarebebro stati almeno dovuti.

Un discorso tra il serio e il faceto, con qualche punta polemica, com’è mio vezzo.

All’indirizzo :

http://lamortesaleggere.blogspot.it/2017/01/dei-romanzi-apocrifi-sherlockiani-e-di.html

The post Pubblicato nuovo editoriale su La Morte sa leggere 2 appeared first on La morte sa leggere.

Mary London ( Jean-Paul Frédéric Tristan Baron) : Un Crimine troppo perfetto (il falso titolo è The Murder was too perfect, quello vero..Un crime trop parfait, 1998) – trad. Cristina Ranghetti, Armenia Editore, 2006

$
0
0

La mia biblioteca è impressionante. Me ne sto accorgendo giorno dopo giorno. Nella follia di possedere più gialli che possa, talvolta ho comprato dei libri che potevo evitare, molte volte ho comprato libri fondamentali, ma è accaduto più volte che abbia comprato dei libri di cui mi sia scordato. Questo è il destino di chi ne tenga moltissimi e per di più abbia poco spazio dove tenerli.

E’ andata così che per creare spazio utile a sistemare altri lbri o cd di musica classica, mi sia accorto di due romanzi che erano lì da tanto tempo (che avevo comprato in una fiera di remainder’s) e che non avevo letto; e che abbia preso in mano il libro, “Un crimine troppo perfetto” e abbia letto il nome dell’autore “Mary London”, sicuramente uno pseudonimo. Chi mai si chiamerebbe Mary London oggigiorno? Brevi notizie biografiche sul risvolto della copertina: figlia di un diplomatico britannico, nata al Cairo nel 1931. Studi a Londra, Chicago e Parigi, docente di storia delle religioni a Eton. Primo romanzo nel 1986. Insomma…nulla.

Ho cinquantatre anni ma non sono bacucco. Le notizie avevano un che di costruito, e per di più avevo il fondato sospetto che si trattasse di pseudonimo. Ho chiesto ad un amico, e lui mi ha detto che dal repertorio degli pseudonimi degli autori che lui possiede non risultava nulla. Lui ha il repertorio inglese, si badi bene. Quindi o era come diceva lui, un romanzo di altro autore che era stato per l’occasione accreditato a codesta Mary London per aggirare il copyright dei diritti di autore, oppure era pseudonimo di autrice o autore di altra lingua che non fosse l’inglese. Certo è che però il tentativo era stato creato con arte, visto che oltre che costruire un falso nome (uno pseudonimo) si era anche creata una falsa identità, e addirittura si sono intitolati i romanzi con titoli inglesi: in questo caso…The murder was  too perfect.

Così ho cominciato a fare ricerche in lingua straniera e così mi sono imbattuto nel reale autore, un francese: Jean-Paul Frédéric Tristan Baron conosciuto come Frédérick Tristan, nato effettivamente nel 1931 ma a Sedan , un letterato e poeta, che ha insegnato anche iconologia paleocristiana, ma che ha scritto prevalentemente romanzi e saggi, ha vinto premi anche importanti tra cui il Prix Goncourt, in sostanza il premio letterario più prestigioso in Francia, molto più del Campiello; sotto altro pseudonimo ha scritto anche poesie. E poi dal 1986 al 2006 ha scritto romanzi polizieschi sotto lo pseudonimo di Mary London.

Sfatiamo altri giudizi. Su Anobii gode di pessima reputazione: i commenti sono tutti o quasi negativi (2 arrivano per bontà alle tre stelle, 1 alle due, 3 hanno addirittura dato una stella: quindi sarebbe un autore piuttosto mediocre, anzi scadente). Altrove si fanno riferimenti e paragoni con Agatha Christie come se chi avesse letto le opere della scrittrice inglese fosse in grado di esternare giudizi di massima, altri non hanno neanche detto per quale motivo abbaino dato un giudizio così negativo. E’ facile stroncare. Più difficile dire per quale motivo si  sia dato un giudizio così negativo.

Il protagonista è Sir Malcolm Ivory un aristocratico che aiuta la polizia a districare le matasse più ingarbugliate. Il povero poliziotto che ricorre a lui è l’Ispettore Forbes di Scotland Yard. In questo caso tutto nasce da una sfida lanciata al Sir da un altro Sir, Peter Greenway, avvocato famosissimo, esperto di diritto internazionale, con molti studi referenziati. Costui lo sfida a venire a capo di un delitto perfetto che sarà commesso di lì a tre mesi. Il prezzo della sfida? Pag.32 di un’opera di Walpole che Sir Ivory sta cercando disperatamente in quanto collezionista di libri ed esperto. Dopo tre mesi, quando non ricorda più nulla, riceve un invito di Greenway in cui lo si invita ad una conferenza tenuta dallo stesso. Il cui oggetto interessa Ivory. Nel corso della conferenza si viene a sapere che il genero di Greenway, James Thompson è stato assassinato.

Prende via l’inchiesta in cui Sir Ivory ha una grande parte perché il suo amico non sa che pesci pigliare: si tratta di grandi famiglie aristocratiche (quella di Greenway risale al XV secolo, ma lui è sposato con Hillary erede di un grande patrimonio immobiliare) e quindi bisogna andare coi piedi di piombo. Per di più in questo caso, tutti ma tutti i personaggi coinvolti hanno alibi inattaccabili, all’apparenza: Sir Peter stava tenendo la conferenza, Hillary era ad un concerto barocco, la figlia Jane stava ricorrendo alle cure del suo psichiatra a Londra accompagnata dal maggiordomo Thomas, il segretario di Sir Peter, considerato un secondo figlio, era alle prese con una riunione di condominio a Londra, persino la cameriera era in giro per far compere e risuolare gli stivali di Sir Peter. Insomma nessuno di loro può avere ucciso James. Il fatto è che però uno deve essere stato per forza a patto che non si pensi all’incarico dato ad un sicario; tuttavia la natura di alcuni particolari che un sicario non può sapere (mancano le pagine dell’agendina e dell’agenda di James relative al giorno dell’assassinio 16 agosto) perché dovrebbe ignorare dove siano state messe, rivela come il delitto si sia maturato in famiglia ed ivi consumato. Tuttavia un altro accidente complica maledettamente il quadro già criptico della vicenda: la vittima è morta per un bicchiere di whisky avvelenato con una forte dose di stricnina, ed dopo che era morto è stato pugnalato, come se l’assassino volesse accertarsi di avere consumato il suo compito. Oppure nasce da altro motivo: voler accreditare la pista che l’assassino non possa essere uno dei personaggi della vicenda, perché il whisky poteva essere stato avvelenato precedentemente (e allora chiunque potrebbe esserne il responsabile) ma nessuno avrebbe potuto pugnalare James all’ora stabilita dal medico legale, che è quella poi reale. E niente esiste come prova, tranne la dose di stricnina ingerita e la ferita da stiletto nel cuore, perché il bicchiere e il whisky usati per uccidere e lo stiletto, sono spariti.

Parte quindi il tentativo di Ivory di svellere i vari alibi inattaccabili, prima verificandone le impostazioni, poi facendo fare indagini sui singoli personaggi e ricavando in ultima analisi come tutto riporti l’attenzione a Greenway che è evidentemente il mandante, e che ci debba essere tra i vari personaggi uno che debba essere stato per forza il sicario: quindi si procede a verificare gli alibi, e a conoscere anche gli aspetti più intimi dei personaggi. Si ricava così la certezza che il movente è stato l’infertilità della coppia James-Jenny, il primo un impotente dipinto come un omosessuale senza esserlo, educato in maniera distruttiva da una madre troppo egocentrica ed egoista, figlio di un padre troppo duro sempre assorbito nei suoi affari legali (anche Sir Thompson suo padre è l’avvocato più in vista di Londra); la seconda, una donna vissuta in un mondo fantastico di amore spirituale perché violentata in età infantile e incapace a relazionarsi sessualmente anche a suo marito.

L’assassino è il più insospettabile, anche se nella sua natura, l’autore francese svela la sua aderenza a clichè vecchio stampo. Anche vecchio stampo è il soggetto, non certo Agatha Christie, da cui si son prese le mosse, semmai quel Crofts, grandissimo autore inglese, fondatore assieme alla Christie della Golden Age del Giallo, inventore di trame basate su alibi inattaccabili all’apparenza ma che poi con una puntigliosa indagine, si riesce a demolire.

Interessante è la struttura del romanzo che è un ibrido, ricorrendo alla fusione di due generi diversi: sembrerebbe il thriller (perché si sa che avverrà un omicidio)  ma in realtà è una “inverted story” (perché il mandante si sa già chi è) ed è un mystery allo stesso tempo, perché se si sa già come Greenway sia il mandante e il regista di questo delitto, si ignora chi possa essere stato il suo attore principale, il sicario che ha dato la pugnalata al cuore e che si scopre solo nelle ultime pagine del libro.

Gli accenni alla natura larvatamente omosessuale di James, ai mezzi per ovviare alla sua impotenza, ai mezzi per ovviare alla impossibilità di un rapporto carnale completo con la moglie per avere un figlio, rivela come il romanzo sia stato scritto abbastanza recentemente (circa una ventina di anni fa), seppure con uno stile molto arioso, sobrio, che si legge assai facilmente, merito anche di una traduzione azzeccata.

Nonostante ciò ci si immerge in atmosfere tipicamente britanniche. Ma gli autori e i detectives che si è preso a riferimento sono molteplici: E’ chiaramente, assai chiaramente un’opera manierista: già il fatto che il detective sia un aristocratico colto rivela come Tristan abbia guardato non solo a Crofts per il plot, ma anche almeno a Sir Peter Whimsey di Dorothy Sayers, e più ancora a Philo Vance, per l’essere esperto di più arti, mentre il domestico orientale lo collegano a Ellery Queen (che aveva il filippino Dunga come domestico), i paradisi cinesi e le letture del Giudice Ti lo collegano a Van Gulik. Insomma…

Un’ultima nota: a metà libro si ha netta la sensazione, ed è quella che ho avuto io, che il killer possa essere Serge Leblond. Egli risponde a tutte le caratteristiche: è il segretario privato di Peter Greenway, è stato adottato da lui alla fine della seconda Guerra Mondiale, è laureato in legge e in lui Sir Peter ripone la massima fiducia e grandi speranze, Lady Hillary lo considera suo figlio : perché non potrebbe essere lui il sicario? Quale possibile vantaggio ne avrebbe ricavato? Magari la possibiità di risposare Jane e assicurarle la progenie. Ma Serge, che sembra essere anche collegato ad un tema molto caro nel giallo inglese, se l’autore lo fosse, sarebbe potuto essere per esempio non il Leblond che vogliono farci credere ma un figlio illegittimo di Sir Peter, il cosiddetto erede non riconosciuto che ritorna. Ma Tristan non è inglese, è francese: Leblond è veramente un orfano, e non è neanche l’assassino che si potrebbe pensare che potesse essere. No. L’assassino è un altro. Se vogliamo il meno contemplabile, eppure quello che secondo una certa ottica non potrebbe che essere.

Un bel romanzo in ultima analisi.

Peccato che l’esperimento Armenia sia finito troppo presto, dopo aver pubblicato solo un altro romanzo, per di più una Camera Chiusa, “L’uomo che morì due volte”, La double mort de Thomas Stuart, secondo romanzo ad essere stato scritto ma primo ad essere stato pubblicato nel 1998, che nel titolo (solo nel titolo) rivela la filiazione da un altro romanzo pure di un francese, La double mort de l’ispecteur Belot, di Claude Aveline.

Pietro De Palma

 

Soji Shimada : The Locked House of Pythagoras (P no Misshitsu, 2011) – Trad. Yuko Shimada/John Pugmire – EQMM Agosto 2013

$
0
0

Anni fa Luca Conti, che ora è Direttore Editoriale del magazine Musica Jazz, si occupava di traduzioni dall’americano, occupandosi di Crime Fiction Contemporanea (Ellroy, Lansdale, Bazell, Crumley, Sallis, Ellmore Leonard, etc..) per varie case editrici. Una volta che ci sentimmo per telefono, mi disse che lui era entrato in Giunti ed era diventato un consulente, e se le cose fossero andate in un certo modo, avrebbe anche fatto tradurre certe cose che mi erano care, e che lui aveva già letto in inglese, tra cui per esempio The Tokyo Zodiac Murders, di Soji Shimada. Poi la sua esperienza finì in un certo modo, e così non abbiamo più visto il romanzo di Shimada.

Qualche giorno fa ho potuto, tramite un amico, leggere un racconto che Shimada ha scritto e che è stato pubblicato su EQMM quattro anni fa, di cui parlo oggi. Come anticipato nell’annuncio di qualche giorno fa, i miei lettori dovranno fare affidamento sulla mia analisi perché, a meno di non procurarsi la copia di EQMM di 4 anni fa, e di non leggerla in inglese, non potrebbero mai sapere nulla di Shimada. La mia analisi viene pertanto anche pubblicata allo scopo di creare un bacino di lettori che possa sollecitare in futuro la pubblicazione di opere di autori ancora colpevolmente ignorati in Italia.

Il racconto in questione si intitola The Locked House of Pythagoras

Eriko è un ragazzo. Sta a scuola e sta togliendo dall’aula una serie di cose inutili tra cui dei manifesti. Incontra un altro ragazzo che è il figlio di Tomitaru Tsuchida, un famoso pittore cui è stato affidato il compito di selezionare una serie di opere effettuate da allievi di scuola elementare e media, e che è stato vittima di un cruento omicidio qualche giorno prima, assieme alla sua amante Kyoko Amagi. Eriko si stupisce un po’ per la richiesta di un foglio di carta velina da usare per creare un copricapo, però non troppo poi, giacchè il ragazzo e la madre sono rimasti poveri giacchè il padre non passava gli alimenti alla ex moglie e al figlio; anche per tutto questo si ricorda il giorno dopo quando incontra il suo amico Kiyoshi Mitarai, che ha concorso anch’egli alla selezione.

Del resto, per chi vive in quella scuola, l’omicidio del pittore incaricato della selezione delle opere, tiene banco: è stato ucciso nella sua casa assieme all’amante, solo che la stanza dove son stati trovati i corpi era chiusa dall’interno e la casa pure, intorno alla casa c’erano solo impronte che la circondavano ma nessuna che entrasse o uscisse, nel terreno bagnato fradicio per la continua pioggia. I due corpi erano stati trafitti da numerose pugnalate che avevano provocato un vero lago di sangue. In un primo tempo si era supposto a caldo che Tsuchida avesse ucciso l’amante e poi si fosse ucciso, ma, sia il numero delle coltellate che lo avevano raggiunto, tutte mortali, sia il fatto che l’arma non fosse stata trovata assieme alle vittime, aveva escluso l’ipotesi del suicidio e avvalorato quella invece del duplice omicidio.

Il concorso era stato annullato non solo per la morte dell’esaminatore, ma anche per la contaminazione delle opere in concorso: contaminazione da cosa? Dal sangue. Infatti la sala chiusa dall’interno in cui erano stati trovati i corpi era coperta dalle opere in concorso, che si erano impregnate del sangue delle due vittime.

Cosa strana un particolare: non tutti i disegni erano incrostati di sangue ma anche di vernice rossa. Perché?

Altra cosa strana: la commissione aveva proposto 90 opere delle scuole elementari e 50 delle scuole medie, ma Tsuchida aveva invece optato per 88 e 48. Per quale motivo?

I due ragazzi delle scuole medie sono sicuri di poter addirittura risolvere il mistero, in particolare Kiyoshi: conosce delle cose attinenti il concorso, fa delle ipotesi e dice di poter anche risolvere il caso, riuscendo a capire il perché quei quattro disegni fossero stati eliminati dalla competizione: 90-88=2, 50-48=2; 2+2=4.  Deve però sapere altro, e per fare questo, si reca con l’amico alla casa del pittore, che è di fronte a quella in cui vive la ex moglie e il figlio. Nel terreno circostante la casa sono state trovate impronte, ma non dirette dentro o fuori la casa, e non della donna o di suo figlio, nel qual caso si sarebbe supposto un uxoricidio, ma dell’ex-marito della Amagi, che è stato arrestato: dopo estenuanti interrogatori ha ammesso di essere stato lui ad uccidere i due, ma nel tempo stesso non ha saputo dire come. Qualcuno sospetta quindi che egli abbia ammesso solo per far finire quella vera e propria tortura psicologica nei suoi confronti.

I ragazzi chiedono ai due detectives della polizia di poter visionare la casa, ma vengono derisi. Tuttavia Kiyoshi è in grado, pur non essendo mai entrato al di dentro, di fornire le esatte dimensioni della stanza in cui si è commesso l’eccidio, nello sbalordimento generale. E di indovinare persino quelle delle due stanze poste al piano di sopra. I due poliziotti, che non sanno che pesci pigliare, colgono la palla al balzo, e accettano, anche se non proprio di buon grado, di far visionare la casa, i cui pavimenti e muri coperti di sangue non sembrano infastidire molto i due ragazzi.

Kiyoshi saprà innanzitutto spiegare il perché Tsuchida avesse richiesto un numero di opere inferiore di quattro unità rispetto ai numeri delle opere selezionate dalla Commissione del Sindaco: esso è in relazione alla superficie quadrata della stanza chiusa dall’interno e a quelle di due stanze al piano superiore una quali è un laboratorio e l’altra uno studio. Esse sembrano costruite sui cateti di un triangolo la cui ipotenusa è la base di un’altra stanza. Siccome i due piani sono identici e anche struttura, planimetria e disposizione delle camere, ne deriva che il principio sulla base del quale Kiyoshi risolve l’enigma, è il Teorema di Pitagora.

In sostanza, le opere erano state richieste da Tsuchida sul presupposto che esse ricoprissero assieme, esattamente il pavimento della grande stanza al piano terreno, e separate  a seconda delle provenienza (Scuola Elementare e Scuola Media) le due stanze al piano superiore: camminando sopra, egli avrebbe scelto le più meritevoli. Ne deriva da ciò che il duplice omicidio non si era svolto nella stanza al piano inferiore ma in quelle al piano superiore: qui l’assassino aveva ucciso i due, massacrandoli con il coltello, poi il sangue aveva letteralmente coperto le opere che tappezzavano il pavimento, e così facendo si era posto il problema che altre opere non fossero coperte di sangue (quelle dell’altra stanza): ecco perché si era pensato alla vernice rossa. Poi i corpi e i disegni insozzati di sangue erano stati portati al piano di sotto, tutto erano stato accuratamente pulito, in modo che non si risalisse alla vera scenda del delitto, e poi si era apprestata la scena finale: la stanza era stata chiusa dall’interno e l’assassino era uscito con uno stratagemma da un vasistas stretto del tokuroma, troppo stretto per averlo fatto ritenere una via di fuga. Solo che l’assassino si è servito di un escamotage.

Di questo si renderà conto Kiyoshi, individuando anche il perché si fosse nascosto il vero luogo del delitto, come si fosse potuto uscire dal primo piano non lasciando impronte, e capendo anche l’identità dell’assassino dall’unica prova lasciata (dimenticata) all’interno della casa: un ombrello.

Straordinario racconto di Shimada, è “nero” fino al midollo. John Pugmire che ha curato assieme a Yuko Shimada la traduzione in inglese, ha risposto qualche giorno fa, al sottoscritto che notava la morbosità della vicenda, l’estrema violenza e le scene grandguignolesche, quasi da cinema splatter, e come le scene del poliziesco made in Japan sia più forte nelle tinte rispetto all’asetticità quasi di quello di marca anglo-sassone e statunitense, con un’affermazione lapidaria ma estremamente precisa: No “cozies” in Japanese fiction, only “gories”.

In questo indubbiamente la crime fiction giapponese è simile a quella francese, e Shimada in particolare mi sembra che possa essere messo a confronto per esempio con Paul Halter. In ambedue soprattutto, protagonisti indiscussi sono i ragazzi: come non ricordarsi dei vari romanzi di Halter che hanno come protagonisti i ragazzi? Anche qui “protagonisti” sono i ragazzi. Uno è addirittura il vero detective che scopre l’arcano, e che deriva indubbiamente – secondo me – da Detective Conan, il protagonista cartoon giapponese alla base di molte storie di crimini impossibili.

Shimada è sensazionale anche e soprattutto per la sua delirante visione del sangue: il sangue ricopre i pavimenti delle stanze superiori, imbevendo le tavole dei disegni (fogli A3), ce n’è talmente tanto da scivolare in rigagnoli tra i vari fogli, e da costringere l’assassino/gli assassini a ripulire accuratamente la scena del delitto, e le scale, utilizzate per trascinare i corpi e portare giù tutti disegni coperti di sangue, apprestare la messinscena finale al piano di sotto, e sporcare finanche i muri, e coprendo di vernice rossa di un colore simile al sangue altre tavole. Tutta questa febbrile opera di pulizia e risanamento verrà scoperta solo grazie al Luminol. Il confronto con Halter è quello imperniato su un romanzo come La Brouillard rouge, dove una camera è tinteggiata col sangue.

Shimada è sensazionale anche e soprattutto per aver concepito un plot basato sulla geometria, la cui stessa soluzione della camera chiusa è in relazione al fatto che i due quadrati al piano di sopra fossero come costruiti sull’ipotenusa, base del quadrato della stanza chiusa dall’interno; e per il fatto che se non si fosse allontanato il sospetto che il delitto fosse stato compiuto al piano superiore invece che a quello sottostante, qualcuno avrebbe subito intuita la strada per uscire dalla casa. E finanche, forse, scoprire l’assassino.

Il giallo nipponico, invero, pur pagando il proprio tributo al giallo occidentale di marca anglosassone, se ne differenza sostanzialmente per un carattere ben preciso: il giallo di tipo anglosassone, quello che si rispetti beninteso, presenta un’indagine effettuata dentro un certo gruppo di sospettabili dei quali bisogna smontare gli alibi, poi bisogna individuare le prove e soprattutto i moventi e infine capire il “modus operandi” dell’assassino. In altre parole, quasi sempre, quando si presenta una situazione impossibile, essa deve essere capita indipendentemente dall’individuazione dell’assassino, secondo due momenti ben distinti; nel giallo giapponese invece, almeno in questo di Shimada, laddove ci sia una situazione impossibile, basta risolvere la situazione impossibile e qui “la Camera Chiusa”, per capire chi sia l’assassino. In altre parole, l’azione del delitto non presume un’indagine basata sul Whodunnit ma sull’ Howdunnit: non chi sia l’assassino (da cui si desume come abbia assassinato), bensì come l’assassinio si sia svolto (da cui si desume chi sia l’assassino). Cambia tutta la prospettiva. In questo mi sembra di poter asserire una verità sostanziale: il giallo nipponico, almeno questo di Shimada,  è molto vicino a quello francese di Halter, di Boileau, di Vindry, in cui i sospettabili sono pochi, estremamente risicati, e che possono essere messi in discussione solo nel momento in cui l’azione arcana del crimine venga esorcizzata attraverso la soluzione del crimine impossibile, che indirizza inequivocabilmente l’attenzione degli inquirenti nei confronti di un solo ed evidente assassino.

Per di più la soluzione della Camera Chiusa relativa non alla stanza dove vengono trovati i due corpi, ma al modo di lasciare la casa, è molto simile a quella adottata da Halter in Le Tigre borgne.

Che poi abbia seguito quella soluzione o vi sia arrivato da solo, è comunque vero che Paul Halter è molto amato in Giappone.

Pietro De Palma

NUOVA INTERVISTA A MARCO POLILLO

$
0
0

A distanza di un anno dall’intervista che Marco Polillo mi rilasciò in esclusiva, il fondatore dell’omonima Casa Editrice, gentilissimo e disponibile, me ne ha rilasciata un’altra, in cui ci si addentra in questioni magari note agli addetti ai lavori ma ignote al grande pubblico. Un modo come un altro per rendere partecipi tutti di una realtà sempre viva nell’ambito del panorama editoriale italiano.

Marco Polillo nasce come Consulente Editoriale Mondadori. Per quanto io sappia, Suo padre faceva parte di Mondadori ( mi hanno detto): lì Lei ha acquisito i primi contatti e immagino che Lì abbia fatto anche amicizie. Mauro Boncompagni per esempio l’ha incontrato quando Lei lavorava in Mondadori? Il settore Gialli della Mondadori di oggi che cosa non ha rispetto a quello di cui lei era un funzionario?

No. Io ho lavorato in Mondadori dal 1973 al 1984 e poi dal 1988 al 1992. In mezzo a questi due periodi ho lavorato in Rizzoli. In Mondadori sono entrato come responsabile dell’ufficio contratti editoriali e ne sono uscito come direttore generale dell’Area Liberi. In Rizzoli era stato chiamato come direttore generale della Rizzoli Libri. Mio padre Arrigo ha lavorato per molti anni in Mondadori come direttore del personale, ma ne è uscito molto presto, tant’è che non abbiamo mai lavorato entrambi in quella azienda nello stesso periodo, mentre mio zio, Sergio, è quello che ha lavorato più a lungo in Mondadori fino a ricoprirne, quando è andato in pensione, la carica di presidente. [1]  Durante la mia carriera dirigenziale non mi sono mai occupato del Giallo Mondadori; ho curato qualche Omnibus Giallo, ma era un hobby, essendo altra la mia professione. Boncompagni, per esempio, l’ho conosciuto molti anni dopo la mia uscita da quella casa editrice.

Marco Polillo nella vita privata, quando ha un po’ di tempo e vuole leggere, cosa legge? Quale autore contemporaneo anche non specificamente di crime fiction la appassiona?

Come diceva Valentino Bompiani il mestiere dell’editore ti toglie il piacere della lettura perché di norma si leggono più i libri che si decide di non pubblicare che quelli che vengono poi scelti. Continuo comunque anche “fuori dal lavoro” a leggere narrativa anglo americana contemporanea. L’ultimo, per esempio, terminato la scorsa settimana, è stato “Firmino” di Sam Savage edito da Einaudi.

La crime fiction contemporanea americana (Lansdale, Ellroy, Sallis, Crumley, Bazell, etc..) la interessa? Quali limiti ha secondo lei?

Io sono un amente del giallo classico a enigma. Non sono un grande amante della crime fiction contemporanea. Preferisco vederla al cinema. Mi perdoneranno gli estimatori di quel genere, ma la trovo un po’ tutta uguale.

Lei ha detto che la crime Fiction contemporanea americana non è nelle sue corde. OK. Però essa deriva direttamente dall’hard-boiled. Ora ne I bassotti c’è un’unica nota stonata: il romanzo di Chase. Che è un Hard-Boiled. Ora vorrei sapere: quel volume fu pubblicato ed inserito nella collana rispondendo alla sua volontà di creare un nucleo ideale di 50 volumi che fossero il meglio della letteratura gialla, o invece fu il tentativo di sondare il bacino dei lettori, poi abbandonato puntando solo sul mystery, seguito in un secondo momento da una collana dedicata solo ad hardboiled o comunque a romanzi non precipuamente mystery, cioè “I Mastini”?

“Niente orchidee” è vero che è un hard boiled, ma essendo a mio avviso un capolavoro assoluto s’inseriva bene nel progetto originale dei 50 migliori gialli. Non voleva essere un esperimento, ma solo un tributo a un’opera unica nel suo genere (e di gran lunga superiore a tutti gli altri romanzi di Chase).

Marco Polillo ogni tanto scrive qualcosa. La sua prosa ritiene sia del tutto originale oppure nell’ ideazione del plot Le capita o è capitato di aver utilizzato escamotages di qualche autore del passato? Quali autori anglosassoni ritiene abbiano influito maggiormente sul pubblico italiano? E quali Lei ritiene siano i più grandi in assoluto?

Che nei miei romanzi ci sia qualcosa che ricorda qualche “trucco” dei grandi giallisti è possibile, anzi probabile, ma devo dire che a parte in “Corpo Morto”, dove ho preso a prestito una trovata di John Dickson Carr, se l’ho fatto è stato in maniera del tutto inconscia. Per la mia scrittura io sono molto più debitore a Fruttero & Lucentini e, in misura inferiore, a Piero Chiara e a Simenon. Devo dire, con mia grande soddisfazione, che la critica – fatte le dovute proporzioni – mi ha accostato proprio a quei tre (quattro, nel caso di F&L) autori.

Ha pensato mai di pubblicare anche saggi sugli scrittori di cui Lei propone romanzi? Qual’è il limite della saggistica specializzata del settore poliziesco in Italia? E’ legato secondo Lei solo alla penuria di opere in libreria di autori che spesso abbiamo letto solo in edicola eccezion fatta per Agatha Christie?
E secondo Lei, perchè solo Agatha Christie è stata da molti anni oramai proposta in libreria sistematicamente e non Carr per esempio o Ellery Queen, sempre sistematicamente ?

Non ho mai pensato di scrivere dei saggi sugli autori che pubblico. Sarebbe un libro senza mercato. Anche se gli amanti dei gialli sono numerosissimi, questo genere letterario si porta con sé ancora le diffidenze di chi, sbagliando, lo considera un sottogenere letterario. E il motivo risiede proprio nel fatto che la politica editoriale di Mondadori – monopolista assoluto per tantissimi anni nel campo del mystery – di fatto ha indotto la gente a pensare che quello è un prodotto minore, da comprare a un prezzo basso solo in edicola. Lei non ha idea dello stupore degli agenti letterari di Agatha Christie quando, ad autrice ancora in vita, si sentivano dire che, sia pure pagando di più, il nuovo romanzo da lei appena consegnato sarebbe stato pubblicato in edicola. In Italia è sempre stato così, un pregiudizio snobistico nei confronti della letteratura d’intrattenimento; adesso il vento è un po’ cambiato, ma quei grandi autori – per me nettamente superiori a quelli di oggi – sono stati bollati per sempre. Se ci pensa sono solo io e qualcun altro che ha cercato di copiarmi, che li ha portati per la prima volta in libreria.

A questo punto analizziamo a fondo l’andamento del suo fiore all’occhiello: la collana de “I Bassotti”.
E’ passato poco più di un anno dalla ripresa delle pubblicazioni.  Qual’è la situazione economica della Sua casa editrice che ha puntato quasi tutto su tale collana per riemergere ?

La situazione è molto migliorata da allora. In realtà il fatto di puntare sui Bassotti era in qualche modo una scelta obbligata. E’ la collana di maggior successo della casa editrice e ha una costante vendita di catalogo. La crisi della Polillo Editore non era stata causata dal fatto che i titoli non si vendevano più, quanto dalla precipitosa discesa del mercato (oggi gli acquirenti e i lettori di libri sono molto meno rispetto a qualche anno fa), dalla progressiva diminuzione del numero delle librerie e dalla prudenza dei librai che prenotano con molta maggior cautela rispetto al passato. E a nulla vale l’osservazione che se un titolo funziona, poi ci sono i i rifornimenti e quindi le vendite salgono in ogni caso. Quando le prenotazioni sono troppo basse il libro neppure si vede in libreria e se non si vede non si vende. E’ pacifico.

Seppi due anni fa, prima che si sapesse che le pubblicazioni della Sua casa editrice per quanto riguarda la collana in oggetto, sarebbero riprese, che una delle mosse che Lei avrebbe compiuto, sarebbe stata quella di cambiare per esempio il Suo distributore ufficiale e ottenere migliori e più favorevoli condizioni economiche di distribuzione dei libri. Si è compiuto quanto da Lei auspicato?

Cambiare rete commerciale (la distribuzione è rimasta la stessa) era un passo obbligato. Quando i risultati non sono soddisfacenti è bene cercare altrove nuovi stimoli e nuove idee. Quanto alle condizioni economiche, il tentativo di migliorarle è sempre presente; più pressante quando le cose non vanno bene, ma sarebbe sbagliato non cercare ogni volta quel qualcosa che ti permetta di spendere di meno. Per ora i conti tornano, vediamo cosa succederà in futuro.

Lei l’anno scorso non volle sbottonarsi più di tanto per quanto riguardava i volumi in procinto di essere pubblicati, citando solo “Un pomeriggio da ammazzare” di Shelley Smith, “Arsenico” di Richard Austin Freeman, “Quella cara vecchietta” di Belton Cobb, “Compleanno con delitto” di Lange Lewis, e poi  Anthony Wynne,  Ethel Lina White, R A J Walling, Anthony Weymouth.
Ma intanto ne sono usciti molti di più. Dal N.158 “Morte in ascensore” di Alan Thomas, sono seguiti ad oggi quasi 20 volumi, più di uno al mese. Visto che le pubblicazioni sono riprese al settembre 2015 e oggi siamo a marzo 2017, possiamo parlare di una ripresa effettiva e di dati confortanti?

In realtà il numeri dei titoli pubblicati non è cambiato poi così tanto rispetto al passato. Da sempre la casa editrice esce con una quindicina di novità all’anno; nel 2015 c’è stato un lungo periodo in cui non si è pubblicato nulla perché la priorità era quella di aggiustare i conti, poi da novembre abbiamo ripreso con regolarità. Nel 2015 sono stati pubblicati due titoli, nel 2016 13 e il programma di quest’anno ne prevede 15, un numero che io considero ottimale.

Rispetto all’andamento vendite prima della crisi economica e conseguente editoriale in Italia, quello attuale come si situa?

Non si situa bene, nel senso che la discesa è terminata, ma quello che dal 2011 in poi è stato perso non è stata affatto recuperato.

Possiamo parlare di un nuovo boom o è presto parlare in questi termini?

Non solo è presto, ma io personalmente sono convinto che non ci sarà nessun boom. Qui il discorso andrebbe molto allargato: non si tratta più di capire se una collana incontra o meno l’interesse del pubblico, si tratta di prendere atto che le nuove tecnologie hanno cambiato la testa delle persone. Non è una questione di libri di carta sopraffatti dai libri elettronici (che hanno sì trovato un loro spazio, ma molto minore di quanto alcuni – non io – ritenevano), è il fatto che oggi le persone sono abituate a fare altre cose, cose alle quali non possono né vogliono rinunciare, e questo fa sì che il tempo dedicato alla lettura è considerato faticoso, inutile e non al passo coi tempi. Purtroppo l’Italia, che non è mai stato un paese nel quale si leggeva molto, soffre ancora di più di questa situazione. Se è difficile conquistare nuovi lettori, almeno bisognerebbe cercare di mantenere quelli vecchi. Però se quelli vecchi sono già pochi (molto meno della metà della popolazione) diventa un’impresa davvero complicata.

Ho notato che nel complesso totale dei volumi pubblicati, alcuni autori sono stati nel tempo più pubblicati di altri. Questo è relativo al fatto che detti autori hanno venduto di più o anche ad altri fattori ( sue personali simpatie o magari anche convenienza economica per perdita dei diritti nel caso di titoli molto indietro nel tempo, Fletcher per esempio)? Proprio nel caso di Fletcher, il fatto che il volume non sia inedito ma sia stato pubblicato già da altri editori (per es. i “Gialli a 1000 lire” di Newton Compton), non potrebbe essere un fatto controproducente?

La decisione di quali titoli pubblicare è condizionata da molte variabili: il fatto che un libro mi piaccia o meno, il fatto che le dimensioni siano compatibili con il conto economico (molti mi chiedono perché non pubblico “The Bellamy Trial” di Noyes Hart. La risposta è molto semplice , visto che la prima tiratura ormai non supera le 1000 copie, con i costi di stampa, traduzione, ecc., sarei costretto a mettere un prezzo di copertina fuori mercato e con ogni probabilità lo pubblicherei in perdita); ancora bisogna vedere la disponibilità dei diritti, chi sono gli agenti letterari con i quali trattare (con alcuni è molto facile con altri è quasi impossibile), se si trova, a prezzi accessibili, una copia del testo originale per la traduzione. Gli autori fuori diritti ovviamente aiutano, ma non è una cosa fondamentale per due motivi: se il libro è brutto rimane tale anche se fuori diritti e non lo considero; inoltre – proprio perché è fuori diritti – potrebbe essere pubblicato anche da qualche altro editore, trovandomi così un concorrente sul mercato. Quanto a Fletcher, è vero che Newton lo ha pubblicato quasi tutto, ma c’è una fondamentale differenza: le mie traduzioni sono integrali, quelle di questi libri pubblicati da Newton quasi mai. E se qualcuno non ci crede, basta che vada a controllare la differenza sul numero delle pagine delle due edizioni.

Può farci delle anticipazioni succulente su volumi non di imminente pubblicazione? Già si sa che usciranno  Uno sparo nel buio di Whitechurch, L’assassino al luna park di N.Brady, Il club degli assassini di P.Branch e anche Veleno:un romanzo mosaico (immagino nella traduzione della Mondadori).  Ma ci può fare altre anticipazioni ?

Lo so che spesso mi si accusa di reticenza quando non rispondo alle domande sui nuovi programmi, ma non è cattiveria, bensì il fatto che non mi piace svelarli a chi – e non sono certo i lettori – potrebbe approfittarne per fare delle proposte contrattuali per gli stessi titoli. I programmi che io faccio non sono determinati con un enorme anticipo: non ha senso che io paghi oggi un acconto sui diritti per un libro che pubblicherò fra 18 mesi, quindi preferisco non svelare quello che farò prima delle date in cui, all’inizio dell’attività della rete commerciale, si verrà in ogni caso a sapere. Sulla tradizione di Veleno, non so ancora, dobbiamo controllare la qualità, di chi sono i diritti e se si tratta o meno di una traduzione integrale.

Per quale motivo nella numerazione, compaiono talora dei romanzi che dovrebbero essere già stati pubblicati, perchè hanno un numero di catalogazione inferiore, ed invece non lo sono. Per esempio “Il Club degli assassini” di Branch che ha il N.171 sarebbe dovuto uscire prima di Keverne, ed invece è annunciato in uscita a fine marzo. Mentre addirittura un romanzo della White, N.168, è ancora in lavorazione? Perchè annunciare come usciti, del libri che sono ancora in essere, quando si potrebbe far uscire mano mano solo quelli che effettivamente sono stati tradotti e approntati per la pubblicazione?

Si tratta di una banale questione tecnica. Quando un libro viene messo in programma, è necessario codificarlo (numero, prezzo, codice ISBN, ecc.). Il libro, quindi, nasce con una sua specie di carta d’identità. Poi, man mano che la lavorazione prosegue, possono o meno sorgere degli intoppi che ne ritardano la pubblicazione. Per la Branch – che in ogni caso uscirà il 23 di questo mese – il motivo risiedeva nel fatto che erano sopraggiunti problemi contrattuali inaspettati anche per l’agente letterario che la trattava (non si trovavano più gli eredi per la firma del contratto), quindi la prudenza ha consigliato di ritardarne l’uscita. Per la White il problema nasceva dalla traduzione che non ci piaceva ed era stata fatta rifare, ma il traduttore ha poi avuto lui stesso un guaio per cui è andato in ritardo. A questo punto, essendo passato troppo tempo, abbiamo deciso di riprenotarlo in libreria, perché mantenere a distanza di tempo quelle vecchie prenotazioni avrebbe potuto infastidire i librai. Mi si dirà che in quei casi si potrebbe cambiare il numero di collana e risolvere il problema, ma non è così, perché ci sono gli altri romanzi che non hanno avuto ritardi e che a loro volta dovrebbero cambiare numero: insomma, si rischierebbe di fare un pasticcio. Quanto al fatto di “annunciare come usciti libri che non lo sono”, non  so a cosa si riferisca. Sul nostro sito i libri vengono annunciati solo in prossimità della pubblicazione, indicando persino il giorno esatto di arrivo in libreria. So che ci sono altri siti che danno per pubblicati i libri quando la rete commerciale comincia il suo giro di vendita e quindi non ci vuole molto ad appurare con un consistente anticipo i programmi della casa editrice. Ma si tratta di una scorrettezza di quei siti che non si premurano nemmeno di interpellarci per sapere quando quei libri verranno pubblicati. Vede che ho ragione quando evito di dire cosa farò in futuro?

Io francamente non credo possano danneggiarla. Anzi, creano aspettativa sui romanzi, si sviluppano dibattitti. Quando viene anticipata l’uscita di un romanzo, su Anobii se ne parla e si discute. Spesso mi chiedono lumi su autori ai più sconosciuti. L’altro giorno ho specificato cosa sia Veleno: un delitto mosaico di Sayers Crofts etc… perchè alcuni pensavano fosse altro romanzo della Sayers. Per me è importante che intorno a qualcosa si parli. Se queste anticipazioni creano dibattito tanto meglio, significa che l’oggetto del contendere è reale ed è nelle aspettative della gente. E’ quando non se ne parla più (come il Giallo Mondadori) che la cosa diventa problematica.

Certo, lo so, ma l’errore è di dare per certe alcune indicazioni temporali che hanno un valore solo per la rete di vendita e seguono delle logiche totalmente estranee a quello che poi succederà. Le faccio un esempio: se io voglio prenotare meglio del solito un determinato libro lo metto in una cedola particolare perché l’esperienza m’insegna che con quel tipo di cedola i librai sono più disponibili, oppure perché i venditori toccano un maggior numero di punti vendita. Questo non c’entra nulla con la data di uscita. Il mestiere dell’editore, al di là delle scelte editoriali, è tecnicamente molto complesso e a volte segue delle logiche in apparenza incomprensibili ai non addetti ai lavori.

Ringrazio il dott. Polillo della sua disponibilità estrema ad ogni chiarimento ed ad aver messo a disposizione del sottoscritto il suo tempo.

Pietro De Palma

[1] Arrigo Polillo era il critico di jazz. La storia pubblicata da Mondadori (che è tuttora in commercio a distanza di 33 anni da quando uscì la prima edizione) è sua.

Il tema dell’omosessualità in 2 racconti di Philip MacDonald

$
0
0

Mi ha particolarmente colpito un racconto che ho letto una domenica mattina, qualche giorno fa, mentre facevo compagnia alla mia anziana madre.

A casa dei miei ho una ricchissima collezione oltre che di romanzi gialli, anche di stagioni mondadoriane, per cui, quando mi trovo lì e voglio ingannare il tempo, sovente ne prendo una e scelgo a caso un racconto. Il racconto preso in esame è stato uno di Philip MacDonald : “Fine di un sogno”, Dream no more, su Estate Gialla 1968.

Dico subito che eccezionalmente, sviscererò i due racconti dall’inizio alla fine, perché trattasi di una riflessione testuale, e quindi rivelerò la fine. Quindi nel caso ci fosse chi non volesse saperla prima di aver letto i racconti (sempre che avesse le fonti, già cosa alquanto difficile) è pregato di non leggere oltre.

Dico subito che il racconto mi ha spiazzato non poco.

John Garroway e Gavin Rhodes si stanno dirigendo alla villa sul mare di proprietà dei Garroway: nella splendida villa a picco sul mare, con cui comunica per tramite di una scala ripida tagliata anche nella roccia e che ha una piccola spiaggia privata, vive la madre di John. Sola, con una donna mulatta che le fa da governante, dopo la morte del padre di John.

Arrivati lì, ben presto si instaura una tensione palpabile tra la madre di John e Gavin, professore di inglese di John, e laureato in filosofia, che pare avere sull’amico un certo potere: lui sa tutto, è un conversatore brillante e riesce persino in un momento a diventare amicone del cane dei Garroway, un Rottweiler, tanto che quello si dimentica subito dei padroni per stare con lui; la padrona di casa invece inspiegabilmente gli è ostile, tanto da divenire persino villana, cosa che non è da lei. Rimbrottata dal figlio, si scusa con l’ospite, invitato anche da lei ora a rimanere presso di loro.

I giorni trascorrono incantevoli a El Morro Beach, in un luogo di sogno e le vecchie acredini sembrano sorpassate. Un bel giorno qualcosa incrina questo sogno: John ha uno spaventoso incidente con la vecchia auto della madre e per poco non resta ucciso. Sia la madre di John che Gavin rimangono estremamente colpiti dalla dinamica. Comunque sia, pare che il rapporto tra Gavin e la madre di John, più o meno della stessa età, 50 anni lei e 44 lui, sia destinato a calmarsi: lui ha fatto in modo che John uscisse con Betty Lou una ragazza innamoratissima di lui e poi qualche giorno dopo, uscendo e andando in città, ha comprato dei regali per i due. Ha comprato però anche dell’altro: una capsula gialla, e dei cristalli da un emporio di articoli per il giardino e la casa. Un po’ del contenuto lo metterà poi nella capsula sigillandola. La capsula è dello stesso colore e forma di alcune capsule di vitamine che assume la madre di John. Tutto il resto del contenuto viene bruciato da Gavin nell’inceneritore. Il fine è chiaro: avvelenare la madre. Coglie l’occasione qualche tempo dopo quando “casualmente” fa rovesciare il contenuto del flacone delle capsule, sostituendo la capsula venefica con una normale, che poi distrugge. A questo punto è chiaro che anche l’incidente con l’auto è stato da lui premeditato, tramite un sabotaggio dei freni. Cosa può avere Gavin contro John e contro la madre?

Fatto sta che alla morte della signora Garroway Gavin non assiste, perché scendendo senza pensieri la scala che dalla villa conduce al mare, inciampa e si spezza l’osso del collo. Casualità? Nient’affatto! La madre di John, accorsa sul luogo della caduta, prima di chiamare il figlio dopo essersi accertata della morte di Gavin, toglie il fil di ferro che ha lasciato teso a livello del gradino per poi occultarlo nella cesta del giardino assieme alle cesoie.

Poi di notte, dopo che il cadavere è stato rimosso, dopo che Mollie e John sono aletto sotto l’azione di un sedativo prescritto dal medico di famiglia, la madre va in cucina e nel lavabo, acceso il distruttore dei rifiuti, versa il contenuto del flacone e attende fino a quando l’ultima capsula è ridotta in polvere. Poi fa scorrere l’acqua e va via.

Dicevo che il racconto mi ha spiazzato non poco.

Innanzitutto un contrasto fortissimo tra l’idillio di un luogo  da sogno, El Morro Beach (località che compare anche in un romanzo) e il contrasto sotterraneo ma violentissimo tra la Signora Garroway e Gavin Rhodes: oggetto del contendere è il figlio, John. Vari i sentimenti che si oppongono: l’amore e la gelosia. La madre è gelosa del rapporto tra Gavin e John e teme che la influenza psicologica fortissima, una sorta di plagio, che Gavin ha su John, possa avere come contraccolpo la sua eliminazione e quella di Betty Lou, la fidanzata di John. John  rimprovera alla madre l’eccessivo contrasto nei confronti dell’amico, e l’amico ha nei confronti della madre quasi identici motivi, resi più violenti dalla volontà di divenire lui padrone di quel posto, eliminando fisicamente la donna che si oppone al suo rapporto col figlio, ed ereditando il tutto.

Ma alla base di tutto cosa c’è? Perché si comporta così Gavin e perché la madre di John non lo sopporta ? Alla prima lettura non l’ho capito, anzi posso dire che il mio senso di disorientamento è stato fortissimo perché ad un certo punto non si riesce proprio capire perché sia un racconto poliziesco; poi improvvisamente assistiamo ad una spirale di violenze e ad atteggiamenti che apparentemente non avrebbero una spiegazione. Spiegazione che si trova, solo rileggendo il brano, stando attenti non a quello che fanno due galli del pollaio, ma a quello che dice la gallina, cioè John. La sua difesa appassionata di Gavin, i suoi commenti estatici (per esempio…“Che uomo straordinario!”) che noi aspetteremmo da una donna, ci fanno comprendere l’ambivalenza del loro rapporto, che ha connotati ambiguamente omosessuali. Una volta che si capisce questo, si è capito tutto. L’autore però non dice mai espressamente che si tratta di un rapporto omosessuale, semmai attraverso il suo stile letterario interviene qua e là a insinuare con atteggiamenti psicologici l’esistenza di un quid da non sottovalutare. Che a sua volta spiega anche l’atteggiamento protezionistico della madre.

In fin dei conti i due elementi forti sono Gavin e la madre e in mezzo c’è il figlio ventenne, cresciuto senza padre. Philip MacDonald senza mai esaltare l’atteggiamento della madre, tuttavia da a Gavin una connotazione negativa: è lui che tenta di uccidere la donna riuscendo quasi ad uccidere John e quando capisce tragicamente di aver sbagliato la sua reazione fa capire che a John ci tiene veramente, anche se a lui interessa veramente che il potere che lui manifesta nei confronti di John non venga affievolito dall’intervento di altri. Ora  che si tratti di atteggiamento omosessuale o no (conversando con Mauro Boncompagni lui mi ha confermato che i sottili indizi di cui parlava lui in uno Speciale circa tredici anni fa, andavano in questa direzione), il corruttore, l’istigatore che istiga facendo in modo che ad agire sia sempre l’altro, è sempre lui. La madre agisce negativamente certo, ma pur sempre si potrebbe associare al suo atteggiamento quello di una legittima difesa: legittima difesa dell’identità psicologica del figlio (debole ed incapace di capire) e legittima difesa della sua vita. Anche se un ulteriore aspetto dell’atteggiamento protezionistico della madre si potrebbe spiegare con la reazione a chi ti voglia portare via da te, il tuo unico bene: non a caso in un inciso all’inizio del racconto lei rimprovera al figlio di averle tolto tutte le speranze che lei coltivava da tempo di poter avere il figlio tutto per sé. E del resto non si potrebbe capire, se non si prendesse in esame il rapporto omosessuale, in cui Gavin è parte attiva e John parte passiva, il perché Gavin ambisca, eliminando la madre di John, a El Morro Beach.

Nell’ambito dello scontro tra i due personaggi dominanti (Gavin che non vuole rinunciare alla sudditanza psicologica di John e alla sua vicinanza, la madre che non vuole rinunciare alla sua importanza nella vita affettiva del figlio), in un punto però MacDonald tende ad attribuire all’uomo una sincerità d’intenti quasi provocatoria, sarcastica direi, che la donna non esprime, quando lui afferma che la fatale credenza per cui gli individui che sono simpatici ai bambini (John) e ai cani (Gill) siano individui schietti e fidati, non elimina la possibilità che lui abbia intenzione magari di compiere un reato: qualcosa più su vasta scala, rispetto a rubare l’argenteria.

Un’altra cosa insinua il sospetto che il rapporto a due sia di natura omosessuale: il fatto che non vi siano altri personaggi femminili nella storia, oltre alla madre. Betty Lou fugacemente è ricordata, ma non prende parte agli eventi, e una sera esce con John solo perché Gavin gli ha detto di farlo. E se Gavin non è legato a lui da un rapporto omosessuale, è tuttavia legato da un rapporto dominante-dominato.

A questo punto è chiaro che l’indizio sottilissimo che via via si manifesta, pur restando sempre alquanto impalpabile, vista la scabrosità soprattutto nei tempi in cui viene ambientato, gli anni ’50, è l’omosessualità maschile, di cui in questi due racconti si esplora soprattutto il rapporto di sudditanza psicologica, di dominazione, esistente tra i due soggetti. Gavin domina psicologicamente l’amico più fragile: è lui l’individuo dominante nella coppia mentre l’altro è il soggetto passivo, più fragile. Il trasporto con cui ne parla alla madre, insinua subito in lei (il famoso sesto senso femminile) il sospetto che i due più che essere amici siano amanti. E quindi la donna decide di rompere quel rapporto perché sa che il figlio ama anche la ragazza Betty Lou. Così se  Gavin è probabilmente un omosessuale convinto, John è un bisex, oppure è solo attratto dalla forza mascolina. Gavin vuole evitare che la parte etero abbia il sopravvento in John e perciò deve eliminare la causa, cioè deve eliminare la madre di John: così facendo, unisce ad un desiderio che è quello di possesso del giovane, anche quello del luogo, cioè l’interesse economico. Che non è detto che non sia secondario al primo.

Solo che la madre di John ha capito tutto in occasione dell’incidente dell’auto, e decide di rispondere colpo a colpo a Gavin: capisce cioè di essere stata la vittima predestinata salva per miracolo e quindi passa all’azione, uccidendolo in maniera subdola.

Racconto veramente mirabile nella resa e nella scrittura, colpisce come un pugno nello stomaco, soprattutto per la freddezza della donna, che riesce a simulare più di quanto abbia fatto il suo antagonista, e a mettere in piedi un delitto perfetto, mascherato da incidente.

Tuttavia laddove qui il tutto si riduce ad un confronto scontro tra due entità capaci di annientarsi l’un l’altro, il tutto non alzando mai il volume dello scontro, ma invece cercando di dimostrarsi più amorevole dell’altro, in un abisso di ipocrisia, in un altro racconto di MacDonald, l’omosessualità maschile è quasi gridata, con esiti altamente drammatici.

Sto parlando di Love Lies Bleeding, pubblicato non da Mondadori, ma da Feltrinelli, e presente anche in una antologia curata da Anthony Boucher dal titolo The Quintessence of Ellery Queen.

Qui la storia è ancora una in cui le donne non esistono. O meglio, una donna, Astrid, compare, anzi potrebbe avere una parte predominante, se non uscisse così repentinamente dalla storia.

Cyprian Morse è un commediografo di successo, i cui unici e veri amici sono Astrid, la scenografa, e Charles, il costumista. Tra di loro non c’è solo però solo amicizia. Lo capisce una sera Cyprian quando Astrid gli si avvicina e gli dichiara il suo amore. Cyprian non dichiara il suo ad Astrid, anzi ne è riupugnato, non tollera che lei gli si avvicini né tantomeno che lo abbracci e lo baci. L’aveva guardata come la sua più vera amica, travisando la natura dell’amicizia della donna, pensando che come il suo atteggiamento, quello della donna fosse di sola amicizia. Cyprian invece non la ama. Ma non è che ami invece un’altra donna: Cyprian ama Charles. MacDonald qui è chiaro ad attribuire a Cyprian la patente di omosessuale: infatti mai per un attimo Cyprian prova pietà per la donna, semmai vorrebbe che Charles fosse lì. Desidera Charles prima, desidera Charles dopo, ancora di più dopo..che ha ucciso Astrid. Astrid le si è avvicinato troppo, lui ha cercado fuggire al suo abbraccio, ma si è trovato le spalle al muro, schiacciato al camino. Non trovando altra fuga, ha cercato di sottrarsi all’abbraccio, scivolando ma ha perso l’equilibrio: una mano ha trovato la cornice del caminetto, l’altra l’attizzatoio. E in quel momento, la sua identità si è divisa in due: una timorosa, l’altra impavida, che ha preso il sopravvento. E’ quella che ha armato la mano, che ha impresso violenza all’attizzatoio, che l’ha lasciato ricadere innumerevoli volte sul capo di Astrid, che ne ha persino lacerato il corpo. E’ come se una forza estranea si fosse impadronita di lui, sicchè i colpi cadevano senza che lui li concepisse e li attuasse. E’ come se una nebbia fosse calata su di lui, davanti ai suoi occhi: quando si dirada e capisce cosa ha fatto, scappa via, in tempo per esser tuttavia riconosciuto. Lui sa di aver ucciso, ma sa anche che non voleva uccidere: ha agito come in stato di legittima difesa. Per la società è purtuttavia un mostro. Lui non sa che fare: se ci fosse stato Charles, però lui sì che avrebbe saputo cosa fare!

Così abbiamo un altro individuo debole, ed uno forte. Nel primo racconto il debole era John e il forte Gavigan (ma anche la madre di John); nel secondo il debole è Cyprian (da notare come il nome rimandi ad Afrodite, la dea dell’amore) presentato fisicamente come individuo effemminato : affettato, vestito impeccabilmente, con lineamenti ambigui (le ciglia lunghe, la bocca cesellata, il pallore della pelle delicata del viso), con un anello d’oro con lapislazzuli al dito, regalatogli da Charles (quando mai un uomo regala ad un altro uomo, suo amico, un anello d’oro?), il forte è Charles. E forte è anche il suo difensore Magnussen, che il suo impresario gli ha cercato. E lui che confeziona la sua difesa, è lui che si sostituisce a Charles nella sua assenza. L’alibi: è stato un altro, che lui ha visto fuggire dalla finestra, ma che nessun altro ha visto. Lui non c’entra, non può esser stato lui. Il fatto è che lui sa di essere stato, ma comunque nega. Nonostante dall’istante del suo arresto, gli interrogatori siano pressanti, sempre più pressanti, in un vortice senza fine. L’unica cosa che lui teme è che la sua forza venga meno, che la stanchezza lo vinca e con essa la tanto sospirata dagli altri sua confessione. Cyprian teme però non solo se stesso, ma anche gli altri: facce volgari, brutali, volpine, astute. Che gli fanno domande, sempre le stesse. Il tempo che non passa. La luce in faccia. Ah, se ci fosse Charles! Nei momenti critici, Cyprian pensa a Charles: lui sì saprebbe come cavarlo d’impaccio, come avere la meglio su quei bruti. Anche se lui ha ucciso.

John Friar gli mette accanto un difensore di razza, ma le certezze di Cyprian che Magnussen riesca a salvarlo dalla bara, sono distrutte da un altro elemento forte della storia: la pubblica accusa, che distrugge le sue speranze e lo condanna a morte certa. Quando però oramai non ha alcuna speranza di salvarsi, arriva una notizia bomba: lui è libero: mentre era in carcere altre due donne sono state massacrate, colpite con identica ferocia. Persone non a lui riconducibili. Sicuramente un serial killer.

Cyprian è disorientato: ha ucciso o no? E se ha ucciso Astrid, chi ha ucciso quelle due donne l’ha fatto sicuramente per emulare lui.

Quando lo capirà, nasconderà il viso tra le mani: Dio mio ! Dio mio!

La presenza di Dio mai affiorata in una storia che è di pura violenza, di sadismo e di follia, si rende manifesta quando un soggetto che è espressione stessa del male, si affaccia: qui non c’è la volontà di eliminare un nemico (Gavin contro la madre di John, la madre di John contro Gavin), non c’è una lotta di pari intensità, qui c’è un assassino e delle vittime innocenti. C’è un assassino che uccide per stornare i sospetti, solo per quello: e per quello massacra di due donne prese a caso, due bestie da macello. Tanto più che per lui le donne non hanno alcun peso: perché lui è Charles, quello che avrebbe saputo sì cosa fare per salvare Cyprian.

Cyprian l’ha invocato, e lui – il deus ex-machina – si è rivelato. Ma prima di apparire, dal buio dell’appartamento di Cyprian, lui Charles ottiene che il suo amante, ammetta di avere ucciso Astrid, pronunci la sua confessione. Perché? Perché è così tagliente, così diversa da come lui la ricordi? Il perché Cyprian  lo capisce subito dopo. Capisce che lui ha ucciso per salvarlo, sulla base della presupposizione che lui, Cyprian, avesse in effetti ucciso. Ma se ciò non fosse accaduto?

Tuttavia è accaduto.

E ora Cyprian e Charles saranno vicini e vivranno felici. Ma su Cyprian piomba come un macigno la verità e anche una consapevolezza altrettanto terribile: che come Charles sa che lui ha ucciso, anche lui sa che Charles ha ucciso. Sono uniti per sempre dai loro omicidi. E se lui un giorno non amasse più Charles, dovrebbe però tenerlo con sé perché sa che Charles non gliela perdonerebbe.

I due racconti raffrontati hanno tanti punti sovrapponibili: i soggetti forti sono, in entrambi, personaggi negativi; vi sono due unioni omosessuali, una sfumata ed una reale; Gavigan e Charles affermano la propria superiorità psicologica su elementi deboli come John e Cyprian che li idolatrano. Tuttavia nel secondo racconto, che ha un’atmosfera più ossessiva, da incubo woolrichiano, entrambi i soggetti della coppia uccidono, anche se con valenza diversa: il primo uccide sotto impulso di follia (una nebbia gli cala davanti agli occhi e perde la coscienza di quel che compie), il secondo uccide per calcolo. Entrambi i soggetti forti, uccidono tuttavia per rinsaldare un legame che essi giudicano inscindibile. Per certi versi il secondo racconto, reso da una prosa più tagliente, più secca, anche più visionaria, deve sancire il disprezzo di una unione sacrilega e il rifiuto di una normale: il prezzo dell’omicidio sarà la morte, anche del legame di stima che avvinceva i due amanti. Del resto, l’atmosfera opprimente, fa da contraltare alla vicenda mostruosa, laddove nel primo racconto era invece sfumata: lì lo scontro non era tanto fisico e verbale quanto puramente psicologico, era uno scontro tra menti superiori, mentre qui l’omicidio non è il risultato di una tenzone ma di un atto di violenza verso un essere più debole che non può opporsi, e perciò tra i due il secondo è molto più riprovevole e terribile.

Noto ancora come mentre nel secondo racconto l’ambientazione è Broadway, un ambiente di spettacolo dove le forme di unione omosessuali sono da sempre tollerate, ma per ciò stesso è ambiente di spettacolo dove la volgarità la fa da padrone, nel primo racconto l’ambientazione è una località da sogno, in una villa della classe medio-alta; laddove il secondo racconto presenta omicidi brutali, il primo inquadra delle vere e proprie opere d’arte (delitti perfetti); laddove nel secondo c’è un compiacersi della violenza, nel primo quasi non c’è; laddove nel secondo non c’è scontro tra menti, nel primo c’è. Laddove nel secondo l’ambiente è quello dello spettacolo, nel primo è quello letterario. Nel secondo sono colti gli aspetti volgarmente raffinati: il lusso, i cibi ricercati, gli abiti firmati; nel primo, la sobrietà della cultura, la poesia. Gavin è un Oscar Wilde, se vogliamo. In certo qual modo Gavigan, per quel suo non perseguire una violenza cieca, ma calcolata eppure anche capace di mettere a dura prova i propri nervi, non è proprio inquadrabile come un soggetto del tutto negativo, se è vero che riesce a farsi amici i bambini e gli animali (Il dubbio che insinua MacDonald è reale: la cattiveria si può esprimere anche in soggetti apparentemente buoni e simpatici).

Ancor di più, se lui premedita di uccidere per calcolo, ma comunque l’assassinio mette a dura prova il suo Io (a significare che la sua natura vera non è quella), l’altro, Charles, è una persona del tutto amorale: è fredda, spietata, cinica. Del resto la riprovevole unione tra due individui dello stesso sesso, in un’epoca in cui l’omofilia era tanto tangibile da aver perseguitato molti artisti (anche scrittori di romanzi gialli), si esprime per nulla in atto di commiserazione, quanto di condanna degli stessi. L’unico a salvarsi è John, perché non è un vero e proprio soggetto omosessuale ma piuttosto colui il quale è stato plagiato, e pur uscito con le ossa rotta perché il suo punto di riferimento è scomparso, ora avrà la possibilità di rifarsi una vita con Betty Lou. Cosa che non esisterà per Cyprian condannato per tutta la vita ad una unione che sarà per lui, per ogni attimo di vita, una perenne condanna.

 

Pietro De Palma

Morto Colin Dexter

$
0
0

ULTIM’ORA

Così come avvertito da amici inglesi e americani, riporto la notizia della morte del grande Colin Dexter.

La casa editrice Mondadori molti anni fa aveva pubblicato parecchi anni fa molti romanzi dello scrittore britannico di mystery, ma poi qualche anno addietro si era vista soffiare i diritti da Sellerio che poi ne aveva pubblicato anche romanzi inediti .

Presto su questo blog un articolo su un suo romanzo.

Requiescat in pace



 


John Dickson Carr : L’Orrore dei Marvell (New Murders for Old, 1939) – trad. Roberto Sonaglia, in “Ellery Queen presenta Estate Gialla”, Mondadori, 1985

$
0
0

Nell’ambito dei racconti carriani, ce ne sono alcuni conosciuti, tipo La Casa in Goblin Wood, direi anche meritatamente, in quanto trattasi di assoluto capolavoro, e altri meno, tipo Il Problema sbagliato, oppure La Porta sull’Abisso, o ancor di più L’Orrore dei Marvell, un racconto che pochissimi hanno letto in Italia, pubblicato tanti anni fa su una Estate Gialla “Ellery Qeen presenta”  del 1985.

Il racconto dal doppio titolo originale – infatti il racconto, il cui titolo originale è “New Murders for Old”, fu ristampato in altra occasione col titolo  “The One Real Horror”. La prima edizione è quella inglese, col primo titolo citato, apparsa nella rivista “Illustrated London News” nel 1939 e poi ristampata nella raccolta “Department of Queer Complaints” l’anno dopo (precisazioni fornitemi, a domanda, da Mauro Boncompagni) –  è un racconto oserei dire superbo, uno dei rari casi in Carr in cui un doppio finale, lascia aperta la porta all’evento fantastico e non reale, in aggiunta e in contrapposizione a quello più evidentemente logico, tuttavia venato da dubbi.

La vicenda è quella dell’erede di una catena di hotel di lusso andati in malora, fondati dal vecchio Jim Marvell. Ereditati dal nipote Anthony, giovane votato ad una brillante carriera di matematico e costretto invece dalle ultime volontà dello zio che lo amava, ad occuparsi dei suoi hotel, invece di venderli e di ricavarci il più possibile, come avrebbe fatto il fratello Stephen, chirurgo, vi si applica, “mente e corpo” in maniera indefessa, cosicchè dopo due anni di durissimo lavoro ed abnegazione, rischiando l’esaurimento nervoso, riesce non solo a salvarli dal fallimento ma addirittura a portarli ad un clamoroso attivo, a farli diventare meta di tutti i ricconi desiderosi di una vacanza lussuosa.

Ma i contraccolpi sono di natura nervosa. E così suo malgrado, accetta di rinunciare anche alla compagnia della sua fidanzata Judith Gates, una ragazza di umili origini, e di fare una crociera che lo terrà lontano da casa sei mesi.

Tuttavia appena imbarcato, cominciano le sue disavventure: entrato in cabina, non trova più i bagagli che aveva lasciato assieme al fratello Stephen. Denunciata la cosa al commissario di bordo, si sente rispondere che è lui proprio ad aver dato l’ordine poco prima di sbarcare i suoi bagagli, direttamente, allo stesso commissario. Tony non sa che pesci prendere e comincia a dubitare di sé, della propria lucidità mentale. Ordina di andare a riprendere i bagagli, ma poi quando rientra in cabina, trova sul materasso del letto una pistola con i proiettili nel caricatore. E’ sempre più confuso, ma invece di buttarla via dall’oblò in mare, la prende con sé. Dubita persino che sia effettivamente la sua. Ed è sempre più persuaso di essere lui stesso la causa dei suoi guai: una parte cosciente è perseguitata da una incosciente. Non accade più nulla una volta che il bastimento ha lasciato il porto, tranne una cosa che lo fa dubitare delle sue capacità mentali: ha l’impressione in più d’una occasione che il vecchio zio Jim lo spii, intabarrato nel suo vecchio cappotto con un bavero antiquato di pelliccia: il fatto è che Jim Marvell è morto e sepolto.

Dopo circa sei mesi di assenza, perfettamente ristabilito e sentendosi nel pieno delle sue facoltà mentali, decide di rientrare a casa. Ma ecco che nel treno che lo sta riportando indietro, nello scompartimento trova un giornale del giorno prima che parla della sua morte per suicidio. Riavutosi dalla sorpresa, scopre con apprensione che non può trattarsi di un fake: l’articolo è troppo circostanziato, le persone sono quelle della sua famiglia, i luoghi sono quelli della casa avita. Tony non sa che pesci prendere, comincia persino a dubitare di essere lui Tony Marvell. E intanto c’è qualcuno nel treno che non lo perde d’occhio, una persona con un bavero antiquato di pelliccia.

Tony cerca di prendere il taxi, ed ecco quel tale è dietro di lui. Nevica. Il taxi arriverebbe a destinazione e soprattutto lui riuscirebbe a seminare una buona volta quel visitatore indesiderato, ma il taxi ha un incidente avendo dovuto scansare all’ultimo momento un uomo coperto da un pesante cappotto con un bavero di pelliccia.

Tony scende dall’auto ed ecco, il suo accompagnatore indesiderato è dietro di lui. Accelera il passo e quello idem. Tony corre, ma anche quello dietro di lui. Tony ha le chiavi di casa, sta per aprire il portone ma gli sfuggono. Quando vi riesce, quella figura vagamente familiare è alle sue spalle. Colto dal terrore cerca di reagire cercando di impugnare la pistola ma quella cade. Si rifugia al piano superiore ed entra in camera sua. Accende le luci e si accorge che qualcuno giace nel suo letto, coperto da un lenzuolo. Vince la paura, scopre il lenzuolo e si ritrova un altro Tony Marvell.

Sconvolto si volta e vede suo fratello Stephen che gli parla ma mentre ciò avviene ecco che la figura che lo perseguitava è lì. Stephen urla, strepiti, una mano, quella dell’essere chiude a chiave Tony in camera sua in compagnia del suo doppio, e poi, dopo ancora urla di soccorso da parte di Stephen, dopo che la governante è accorsa in tempo per vedere la porta della camera di Stephen chiudersi, ecco un colpo di pistola: Stephen è ritrovato ucciso con un colpo di pistola alla tempia.

E l’assassino ? Volatilizzato: le finestre erano sprangate. Nessuno era presente dentro quando hanno aperto la porta, e fuori c’era la governante che giura che nessuno, proprio nessuno sia entrato. A testimoniare che sarebbe potuto esserci qualcuno, solo una vago odore di pelliccia ammuffita.

Il racconto termina così come era iniziato: il sovrintendente del CID ha raccontato la storia di Tony alla fidanzata Judith. Tony è libero da ogni sospetto e lo deve soprattutto al fatto di essere stato chiuso a chiave in camera sua. Stephen è morto.  Suicida, è il verdetto finale. Nessuno c’era in quella stanza e nessuno poteva esserne uscito. Ma perché mai si sarebbe ucciso? E chi era il doppio di Tony? Ma era veramente Tony, Tony Marvell?

Straordinario racconto di Carr, direi un autentico capolavoro, assolutamente sconosciuto in Italia ( o quasi ), lo sarà ancora per parecchi da informazioni acquisite per via personale. Direi che assieme a The Door To Doom e Blind Man’s Hood compone una triade veramente straordinaria, di racconti con tinte soprannaturali che sconfinano abbondantemente nella letteratura fantastica.

Già nei primi righi si comincia ad intuire l’orrore della storia: Sir Heargraves, Sovrintendente del CID, sta raccontando una storia ad un’altra persona e stanno in una camera: l’identità della persona è sconosciuta e verrà rivelata solo alla fine, perché se venisse rivelata subito, verrebbe tolto un po’ di suspence alla vicenda. In più Sir Hargraves allude ad una “cosa” che era lì sul letto. Badate bene: sta parlando di una “cosa”. Poi Carr scrive che l’aria aveva un odore vagamente dolciastro. Dolciastro! Quando in un romanzo poliziesco, un mystery, si usa quest’accezione, il rimando è sempre alla decomposizione di un corpo: la putrefazione da origine ad effluvi nauseabondi e dolciastri.

Il modo in cui Carr introduce la storia ha in sé già il tocco del genio: fuori fa freddo e nevica, ma dentro l’atmosfera è soffocante, e si sente ancora un che di dolciastro. Quando parla di una cosa sul letto, a me fa venire alla mente un romanzo di Talbot. Sicuramente questo chiamare il corpo sul letto “cosa”, è un rimando diretto a quell’altra “cosa”, sul letto di un’altra stanza da letto, in The Hangman’s Handyman.

Il romanzo di Hake Talbot è del 1942. Talbot e Carr erano amici: è cosa risaputa. A me pare per lo meno strano, e lo sottolineo, che nel romanzo di Talbot compaiano dei caratteri presenti in questo racconto che è precedente.

Cosa voglio dire? Che potrebbe anche essere che Talbot abbia preso delle cose da Carr, da questo Carr, nonostante egli avesse affermato che il suo principale ispiratore era stato il Melville Davisson Post delle storie di Zio Abner: in entrambi i testi si parla di un omicidio impossibile, in ambedue i casi vi entra una situazione soprannaturale (solo che in Carr potrebbe essere vera, in Talbot si dimostra che non lo fosse in realtà), in ambedue i casi vi è un doppio cioè un sosia (nel racconto di Carr è vero, nel romanzo di Talbot no), in ambedue i casi vi è il ricorso al tema della putrefazione dei corpi post mortem (in Talbot è la causa del problema: una maledizione volta a far marcire un corpo in breve tempo; in Carr l’effetto: il doppio si è ucciso qualche giorno prima); in ambedue i casi si parla di una “cosa” adagiata sul letto e coperta dal lenzuolo (in Carr si parla di cosa, termine usato anche da Talbot; Talbot aggiunge che sembrava  un “lumacone”).

Ma Carr a sua volta mi sembra che citi nell’asfissiante pedinamento di Anthony Marvel da parte del supposto zio Jim morto, un racconto di Joseph Le Fanu, in cui un uomo viene marcato stretto dalla sua ombra, che per lui è sinonimo di presagio di morte. Anche nel racconto di Carr,  la marcatura stretta della misteriosa figura in cappotto dal bavero di pelliccia antiquato sembrerebbe essere un presagio, o almeno un’espressione di un potere malefico. Invece, Carr rivoluziona il tutto, perché se Tony teme quel pedinamento perché pensa che voglia in qualche modo attentare alla sua vita, in realtà la figura vuole solo salvarlo. Zio Jim lo amava e non avrebbe quindi neanche da morto voluto la sua morte. Invece è come se la sua asfissiante presenza fosse l’unica mossa per garantire a Tony di restare in vita: infatti egli è stato già vittima, non sapendolo, di un tentativo di “delitto perfetto” non riuscito solo perché è stato scelto un assassino inadatto al ruolo perché incapace di uccidere.

Sarebbe dovuto essere un omicidio perfetto (Tony Marvell sale sulla nave e poi sparisce, e al suo posto si materializza un altro Tony Marvell esattamente uguale a lui, come sarebbe stato un delitto perfetto se “La maschera di ferro” si fosse sostituito a Luigi XIV, condannandolo al posto suo ad una prigionia avita nella Bastiglia). E invece no. Mentre quello di Stephen se non si crede alla teoria del suicidio (per quale motivo avrebbe gridato e per quale motivo avrebbe chiuso a chiave la porta della camera da letto di Tony dall’esterno, perché sicuramente la governante non l’ha fatto?), è sicuramente un delitto perfetto, compiuto però da un morto vivente, dallo zio svegliatosi dal sonno eterno.

Devo dire che la traduzione di Roberto Sonaglia, un antropologo che Mauro conobbe e presentò a Gian Franco Orsi, in quanto sfegatato appassionato di Carr, è magnifica. Lui dice di aver tratto giovamento leggendo le traduzioni di Maria Antonietta Francavilla, che erano sospese tra il divertito e il drammatico dei testi di Carr. A me francamente invece quel suo modo di tradurre, molto nero, lo avvicina più ai traduttori di un tempo, per esempio Laura Grimaldi o Rossana De Michele.

Proprio Roberto Sonaglia, mi da modo di sottolineare un altro carattere di questo racconto che risiede oltre che nel suo avere un doppio finale anche soprannaturale, anche nell’essere un racconto di genere Gotico. Sonaglia, a questo proposito, scrisse un articolo proprio sul Gotico in Carr, pubblicato – in appendice al G.M. 1821 del 1983, in cui era stato pubblicato l’inedito di Carr He Wouldn’t Kill Patience – assieme a due articoli di Boncompagni e ad uno di Lippi. Ne riporto un breve estratto che si applica anche al racconto in questione:

“Carr fa anche di più; proponendo una particolare dimensione del misterioso, a suo tempo sviluppata da Gaston Leroux, egli gioca addirittura sull’esistenza/inesistenza del soprannaturale, artificio decisamente più adatto alle nostre menti smaliziate che sorridono idealmente dei fantasmi e, tuttavia, non sanno ancora decidere se credere o meno ad una realtà metafisica. Questo gioco elegante, come nei neogotici, presenta tutti i sintomi di un biofilo gusto estetico, ripercorrendo il cammino tracciato dalla ghost story classica dove lo spirito, con la sua incorporeità, sposta già l’indice dal carnale all’impalpabile, dall’orrore al mistero.”

Il pensiero di Roberto  è chiaramente condivisibile, ed è applicabile – anche per quello che ho detto –  quando per esempio si insinua che la figura che si nasconde dietro una pianta sul transatlantico, sia il vecchio Jim Marvel, o meglio il suo fantasma, indicato da un particolare, il collo di pelliccia antiquato del cappotto che usava il vecchio Jim; o quando questa figura si insinua che sia presente sul treno, che segua Tony fino al taxi che lo condurrà a casa, che sia quella che faccia sbandare il taxi perché Tony arrivi a casa non subito in modo che lui, il morto vivente lo possa tallonare, appropriarsi della pistola e poi uccidere. Ma quell’artificio di cui si parla , cioè l’esistenza/inesistenza del soprannaturale che è il quid poi del “genere fantastico” perchè genera una sorta di disorientamento nel lettore, lo abbiamo quando Sir Hargraves parla con Judith a pag.217:

Judith parlò dall’oscurità oltre il fuoco a gas.

“-Questa persona che seguiva Tony, non mi starete dicendo che era…insomma, era…

-Era cosa?

-Morta, completò Judith.

-Non so chi fosse, rispose Heargraves, guardandola fermamente. –Tranne che sembrava qualcuno con un collo di pelliccia sul cappotto.”

Ancora di più, con il dialogo con cui si conclude il racconto: anche qui c’è questo gioco a rimpiattino tra l’adombrare il soprannaturale e il negarlo:

-Ma è assurdo! – gridò Judith. – Stephen non mi piaceva; ho sempre saputo che odiava Tony; ma non era tipo da suicidarsi nemmeno se fosse stato scoperto. Vi rendete conto che non avete chiarito l’unico vero orrore? Devo saperlo. Voglio dire, devo sapere se voi pensate quello che penso io.

“Chi era l’uomo con il collo di pelliccia marrone? Chi ha seguito Tony fino a casa quella notte? Chi gli stava alle costole..? Chi era il suo protettore? Chi ha sparato a Stephen per vendetta?

Sir Charles Hargraves abbassò lo sguardo sul fuoco crepitante, il volto corrugato in un’espressione indecifrabile. La sua mente racchiudeva molti segreti. Era pronto a custodire anche questo, ora che si erano capiti.

-Ditemelo voi- rispose.”

Ma perché uccidere Stephen se non si è ucciso ?

Qui gladio ferit gladio perit.

Tuttavia il racconto oltre ai caratteri gotico e soprannaturale che può accadere siano complementari (per esempio la vecchia dimora austera, buia, con rumori e scricchiolii, e uno spettro o comunque un morto vivennte,  sono due soggetti chiaramente abbinabili), ha anche quello fantastico. Infatti il modo come lascia al lettore, percorribile alternativamente, la via dell’omicidio impossibile messo in atto da un essere che entra nella camera e poi vi svanisce letteralmente senza lasciare traccia oppure quello del suicidio altrettanto poco probabile conoscendo la vittima (rintracciabile per esempio negli altri due racconti citati  e nel romanzo The Burning Court), fa sì che il lettore venga interessato da quel tipo di straniamento di cui parla Todorov nel suo saggio sul fantastico:

«Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza: non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata da un essere che conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale».

Pietro De Palma

Carter Dickson : L’Appartamento disabitato (The Empty Flat, 1940) da “Dipartimento Casi Bizzarri”– trad. Mauro Boncompagni – il G.M. 2175 del 1990

$
0
0

Come dissi molti anni fa, nel mio primo e fortunatissimo contributo al Blog Mondadori, “I quattro racconti di Bencolin”, è accaduto che alcuni racconti di Carr siano stati usati per dare vita a lavori più grandi, siano stati cioè ampliati. Io non parlerei di cannibalizzazione, termine usato da un amico oltreoceano, John Norris, per definire l’appropriamento dei subplot di un racconto da parte di romanzi, bensì di ampliamento: Carr quando lo riteneva giusto, utilizzava sue idee già espresse in un racconto precedente, in un romanzo successivo. Questo procedimento è accaduto più volte, e non solo nel suo caso: parecchi autori hanno usato questo modus agendi, da Agatha Christie a Craig Rice. Perchè allora stupirsi? Piuttosto, una volta individuata quest’altra caratteristica carriana, la ricerca e l’individuazione e l’analisi delle sue componenti narrative si affina e diventa più stuzzicante.

E’ il caso per esempio di un racconto con protagonista il Colonnello March.

Questi racconti sono tra i più ricchi di inventiva, potrei dire dei banchi di prova talora, talaltra il modo di rispondere a delle sfide: per esempio uno di questi, The Footprint in the Sky, “Impronta in cielo”, per quanto sia secondo alcuni non una prova granitica come altre di Carr – a me pare un racconto sublime invece – risponde all’istanza di rispondere, come in una tenzone, alla sfida virtuale lanciatagli dal suo amico Clayton Rawson, che aveva pubblicato il suo romanzo The Footprints on the Ceiling, “Le impronte sul soffitto”

Il racconto che esaminaimo oggi  è “L’appartamento disabitato”, The Empty Flat. 

Fa parte della raccolta The Man Who Explained Miracles del 1963 e non invece di quella degli altri racconti con March, The Department of Queer Complaints, del 1941. Qui dobbiamo fare una breve digressione: dopo aver inizialmente creato tutti i 9 racconti con March,  Carr, per ragioni solo a lui note (io penso per ragioni di opportunità legate proprio al racconto oggi da me analizzato, e forse anche per non appesantire troppo l’antologia The Department of Queer Complaints), nel 1941 dette alle stampe  The Department of Queer Complaints con soli sette racconti:

The New Invisible Man

Footprint in the Sky

The Crime in Nobody’s Room

Hot Money

Death in the Dressing Room

The Silver Curtain

Error at Daybreak

in quanto gli altri due, che originalmente avrebbero dovuto farne parte, The Empty Flat e  William Wilson’s Racket, furono tenuti da parte e ripresentati in altra collezione carriana posteriore di vent’anni, The Man Who Explained Miracles del  1963.

Come tutti gli altri racconti con March, anche The Empty Flat presenta un quesito legato ad un delitto impossibile, che si connoti più propriamente o meno anche come Camera Chiusa. E come tutti gli altri racconti ha un carattere che ne limita in certo senso la fruibilità: presenta un parco di sospettabili estremamente ridotto, tale che la ricerca non sia molto difficile. Qui, come in tutti i racconti con delitti impossibili francesi, per Carr ha maggiore importanza il “come” sia avvenuto un determinato fatto più che il “chi” l’abbia commesso: infatti senza che venga sciolto l’elemento risolutivo, non può procedersi all’incriminazione del colpevole, che sino a quel momento, magari sospettato, non può essere però accusato prove alla mano.

Qui c’è un appartamento disabitato in un palazzo, da cui nel cuore della notte proviene musica ad alto volume. Già di per sè questa è una stranezza: come può provenire da un appartamento disabitato da anni, chiuso e dimenticato quasi, musica ad alto volume? La seconda stranezza, di per sè inquietante è legata alla causa del mancato affitto di quell’appartamento: ad esso era legato un fatto di sangue presumibilmente avvenuto in quel palazzo prima che le sue stanze venissero affittate, e c’era chi diceva che fosse infestato. Addirittura in passato chi vi aveva passato la notte era stato costretto ad andare via: vi si manifestava una tale paura che poi tutti coloro che vi erano stati a più riprese interessati, si erano eclissati.

Al primo piano, proprio sopra l’appartamento da cui proviene musica ad alto volume, sta preparando la propria tesi per avere la libera docenza, Douglas Chase Ph.D. membro della sezione storica della Royal Society. Già la presenza di un altro concorrente al suo traguardo, tale K.G.Mills la cui conoscenza storica pare formidabile, gli da appresnione; figurarsi quella insopportabile musica al piano di sotto! Per cui con un maglione e in pantofole, scende al piano di sotto per protestare, trovandosi davanti una porta su cui campeggia la targhetta K.G.Mills: possibile che sotto di lui abiti il suo avversario? Suonato al campanello gli veine ad aprire la porta una bella ragazza, con le dita sporche di inchiostro che si qualifica proprio come Kathleen Gerrard Mills, laureata in storia. Presentatisi entrambi ed entrambi stupiti e anche accigliati di essere avversari alla libera docenza ed abitare uno sopra l’altra, si spiegano riguardo a quel rumore che non proviene affatto dalla casa dell’incantevole laureata, ma dall’appartamento di fronte. Si spiegherebbero l’un l’altro e anche le proprie tesi davanti ad un boccale di birra, se anche lei non spiegasse all’incredulo inquilino del piano di sopra, che anche lei sta patendo da quella sera gli effetti di quella strana musica ad alto volume: eppure lì in quella casa, non dovrebbe esserci nessuno. Ma come fare? L’appartamento è disabitato e chiuso.

Tuttavia la porta ha il passa vivande, uno spazio troppo angusto tittavia perchè la ragazza possa passarvi attraverso; Douglas è invece alto e sottile e quindi con difficoltà riesce a passarvi attraverso.

La casa è buia. La luce è disabilitata. Ma la musica ad alto volume si diffonde dappertutto: proviene da una stanza pure buia. La luce di un lampione nella strada gli permette di capire che è una radiolina a transisor collegata ad una presa di corrente. La spegne. Poi si dirige alla porta di ingresso, la apre trovandosi davanti alla fanculla e la rassicura, parlandole della scoperta strana. Tutto finito. Sembrerebbe. Il fatto è la mattina dopo degli operai che passano lì vicino, alal luce del sole, vedono nella stessa stanza dov’era la radiolina, un uomo raggomitolato per terra: è Arnot Wilson, avvocato e fiduciario della ragazza K.G.Mills, morto. Di paura. Collasso. Nelle tasche del morto trovano: un taccuino, una stilografica, un anello con sei chiavi, la chiave dell’appartamernto 11,  un orologio con catena, un portafoglio.

Ovviamente c’è un’indagine, e i due giovani vengono convocati a Scotland Yard e relazionano su quanto accaduto la sera prima del ritrovamento del cadavere, davanti al Colonnello March, a capo del Dipartimento D 3 – Casi Impossibili: tutti i casi di fantasmi, sparizioni, avvenimenti apparentemente insolubili in quanto impossibili, vengono mollati a lui. Capiscono che lui non pensi ad un incidente bensì ad un omicidio: l’avvocato era molto conosciuto a Londra, frequentatore di clubs esclusivi, uomo estremamente pulito e freddoloso: non sarebbe mai andato a stare la notte in quella casa, piena di polvere e senza caloriferi, nonostante fosse incuriosito dal racconto circa la presunta presenza infestante, fattogli dalla sua protetta Mills.

Dopo aver sentito le testimonianze del maggiordomo di Wilson, Maurice Delafield, e dell’agente immobiliare, che affitta i vari appartamenti, James Hemphill, March individuerà l’assassino, questa volta non malvagio, ma una persona rimasta al centro di un ingranaggio perverso per un banale incidente di cui è rimasto vittima l’avvocato, che ha pensato bene di salvarsi, portando il cadavere in quella casa abbandonata. Tuttavia è lui che, volendo far ritrovare al più presto il cadavere di Wilson, ha messo in funzione la radiolina.

In questo racconto non vi è tanto una impossibilità di fondo (nella stanza vi si accede addirittura passando attraverso il passavivande, e la porta di casa non è chiusa dall’interno), in quanto l’assassino, dopo aver fatto quello che ha fatto, ha aperto la porta e l’ha chiusa alle sue spalle. Semmai l’impossibilità è data dall’atmosfera: da quella musica ad alto volume in un appartamento “infestato” desabitato, e dal cadavere trovatovi dentro, un avvocato in vista della city, morto di paura. Per cosa?

E soprattutto da come un morto di paura si trasformi in una vittima di un omicidio colposo. Carr nella sua straordinaria visionarietà collega questa trasformazione del giudizio del coroner alla assenza di qualcosa che sarebbe dovuto essere rinvenuto nelle tasche del morto – che aveva detto ad alcuni suoi conoscenti che quasi quasi avrebbe passato un giorno una notte in quell’appartamernto proprio per confutare la presenza di una fantasma –  e che invece non c’è, ma che la vittima, se davvero avesse pensato di stare di notte in un appartamento disabitato, avrebbe portato con sè. E quindi ci sarebbe dovuto essere in quella stanza ed invece non era stato trovato.

Al di là di queste cosucce – ma la cosa che non si trova e di cui viene fatta menzione negli ultimi righi è un pugno nello stomaco – il racconto non è niente di più. Eppure contiene dei particolari interessantissimi, proprio alla luce di un romanzo che Carr pubblicò lo stesso anno dell’uscita della raccolta. Anche lì si trovano due giovani resi avversari dalla passione storica e che si affrontano prima mediaticamente sulle pagine di un giornale e poi si ritrovano uno dinanzi all’altro: per di più il nome della ragazza pur non essendo lo stesso, comincia comunque per K. Anche lì i luoghi sono legati a tragedie storiche e “strane presenze”. Anche lì infine l’impossibilità legata alla terza vittima, viene spiegata con qualcosa che sarebbe dovuta esserci e che invece non è stata trovata. Solo che nel romanzo, quei due giovani che la musica chiassosa ed assordante ha fatto conoscere nel racconto, che forse si sono spiegati davanti ad un boccale di birra ma che Carr non ci dice se poi abbiano passato la notte insieme oppure no, si innamorano davvero. Il romanzo trasforma un racconto senza pretese in un capolavoro assoluto, uno dei migliori della produzione di Carr, con Gideon Fell. E spiega anche secondo me anche il perchè Carr avesse rinviato la pubblicazione del racconto di quasi vent’anni: perchè la singolare conoscenza-scontro di due avversari storici, uno uomo l’altro donna, con tutta la ovvia serie di conseguenze, avrebbe tolto freschezza alla storia del romanzo, se fosse stata presente in un racconto pubblicato per di più lo stesso anno.

Fine 1^ parte

Pietro De Palma

 

John Dickson Carr : Gideon Fell e il Caso dei Suicidi (The Case of the Constant Suicides, 1941) – trad. Maria Antonietta Francavilla – I Classici del Giallo Mondadori 465 del 1984

$
0
0

Guarda caso, nel 1941, Carr pubblica anche un romanzo, non lungo come altri (che alcuni critici ritengono più un racconto lungo, ma che a parer mio è un romanzo vero e proprio: e i romanzi francesi di Boileau e quelli di Halter, cosa sarebbero allora?), ma che a ragione viene ritenuto un caposaldo della sua produzione: The Case of the Constant Suicides.

E’ un romanzo particolare, in cui non solo trovano posto ben tre omicidi avvenuti in Camere Chiuse, ma anche in cui vi è un’atmosfera straordinaria (in Scozia), grandi momenti di capacità narrativa, e una vena umoristica spassosa, estremamente brillante, che rende la lettura di questo libro estremamente piacevole.

Il plot è originale; tuttavia uno dei subplot deriva direttamente dal racconto The Empty Flat (L’appartamento disabitato) del 1940, ma pubblicato solo ventitre anni dopo, nel 1963: il romanzo si apre infatti con due storici, che si scontrano sulle pagine di un giornale, rintuzzando gli affondi altrui.

Alan Campbell, storico che tiene una rubrica su un giornale con pretese letterarie, Il  Sunday Watchman, ha recensito il libro “Gli ultimi giorni di Carlo II, di un certo K.I.Campbell.  La sua recensione, non lo ha stroncato, ma comunque ha rilevato delle inesattezze storiche. Che però non sono tali per il K.I Campbell che risponde a tono. Da cosa nasce cosa e ben presto un semplice botta e risposta diventa una querelle, cui partecipa il pubblico inondando di lettere il giornale che in un primo tempo trae profitto dal litigio mediatico, ma poi comincia a preoccuparsi quando i rilievi sul fatto che Barbara Villiers, Lady Castlemaine, avesse i capelli rossi e fosse minuta, cominciano a riguardare la sua anatomia, in maniera specifica. In questa baraonda mediatica entra persino un erudito, tale Gideon Fell che dice la propria, che non è d’accordo né con l’una né con l’altra tesi. Per cui la querelle viene tacitata quando i due ormai, incavolati neri, dimenticando persino l’oggetto del contendere, si randellano l’un l’altro, menando mazzate alla cieca. Però ad Alan Campbell che ad un certo punto del botta e risposta era stato offeso in merito alla sua competenza di storico e gli era stata rivolta l’accusa di non intendersi di donne, avrebbe voluto vedere K.I. Campbell friggere nell’olio bollente.

Orbene, Alan Campbell ha preso il treno per andare in Scozia, da certi suoi parenti, solo che nel suo scompartimento, il n.4, con suo disappunto, trova che è stato occupato da una donna. Il suo disappunto si tramuta in stupore e poi in rabbia repressa quando, guardando la targhetta sulla valigia aperta, nota che appartiene a tale K.I. Campbell, colui, ora rivelatosi una donna, che lo ha umiliato sulle pagine del giornale. Qualificatosi, i due cominciano di nuovo a litigare. Così urge soprattutto sapere di chi sia lo scompartimento e quindi la cuccetta, perché ognuno dei due rivendica a sé il possesso della stessa. Viene chiamato l’inserviente, che con imbarazzo proprio e disappunto dei due, rivela che la cuccetta è stata riservata per un certo Campbell, senza distinguere se esso sia maschio o femmina. Inoltre non c’è un posto a sedere in tutto il treno, neanche in terza classe. Dopo nuove prese di posizione, e dopo che Alan ha deciso di lasciare alla donna la cuccetta, la studiosa, Kathryn, gli offre di rimanere lì e di spartirsi la cuccetta, con buona pace dell’inserviente di vagone che pagherebbe per uscire da quell’incresciosa situazione. Va da sé che i due giovani, pur rimbrottandosi a vicenda, ben presto fanno conoscenza l’un l’altro, capendo di essere cugini di terzo grado, e diretti nello stesso luogo. E dagli stessi parenti.

E’ morto un loro parente, tale Angus Campbell, cadendo dalla torre del castello di Shira ad Inveraray. I due, che sono lontani parenti, figli di cugini, sono stati chiamati per partecipare ad una riunione di famiglia. Quando giungono al castello, assieme ad un certo Swan, un giornalista diretto dai loro stessi parenti per intervistare Elspat, l’amante del vecchio Angus, anche lei anziana, donna di eccezionale carattere che però lui non ha voluto mai sposare, inizialmente non sono ben visti dalla donna, sulla base che non appartengono alla Chiesa di Scozia ma a quella Anglicana.

Al focherello di questo difficile inizio di rapporti, aggiunge benzina Charles Swan, il giornalista che era arrivato assieme ai due, che incappa in una serie impressionante di gaffes, che fanno imbestialire prima Elaspat e poi Colin. E’ solo in un secondo tempo, dopo che sono entrati in campo Alistair Duncan, legale della famiglia, e Walter Chapman, agente assicurativo, e Alan si è spiegato alla vecchia e l’ha ammansita tenendole una lezione dotta sulla Chiesa di Scozia, e la giovane Kathryn è stata presa sotto l’ala benevola della vecchia parente, che i due giovani vengono accettati. Ma poi, quando Alan, interrogato da Colin Campbell, fratello minore di Angus e cognato di Elspat, sulla sua disponibilità ad ingurgitare la “perdizione dei Campbell”, un whisky stravecchio di alta gradazione alcolica, accetta e lo metabolizza allegramente, ubriacandosi e cominciando a duellare con Colin con delle Claymore, indossando a mo’ di mantelli delle tovaglie colorate e poi avendo visto Swan lo hanno rincorso punzecchiandolo sul sedere, beh solo dopo questo, la vecchia Elspat riconosce i due giovani parenti a pieno titolo di Angus e Colin.

A questo punto ecco emergere un altro dei subplot di questo romanzo: il vecchio Angus aveva da poco tempo stipulato un’assicurazione sulla sua vita per trentacinquemila sterline. Chapman vuole provare che il volo dalla torre di Angus sia stato un suicidio, perché così non pagherebbe una sterlina, mentre Colin è intenzionato a provare il contrario. Per questo ha invitato al Castello di Shira il suo amico Gideon Fell, gaudente scopritore di arcani e diabolici assassini, nonché grande fumatore di pipa e bevitore di whisky, estasiato davanti all’offerta dell’amico di provare anche lui “la perdizione dei Campbell”.

Gideon Fell comincia ad investigare sulle vicende della morte di Angus. Ed ecco una serie inspiegabile di fatti: è scomparso il diario di Angus; Forbes, il socio di Angus che aveva litigato con lui prima della sua morte, è scomparso; è stata trovata una valigia strana in quanto una parte ha una gabbia come se avesse contenuto un animale: prima della morte di Angus, pare che Forbes l’avesse lasciata su, nella camera di Angus: secondo alcune testimonianze era stata lasciata sotto il letto già, mentre altre testimonianze successive negano che all’atto dell’uscita di Forbes ci fosse; la camera era chiusa dall’interno; il letto era in disordine e la vittima indossava un pigiama al momento della morte; sulla maniglia della finestra c’erano solo le impronte di Angus

Poi c’è qualcuno che giura di aver visto qualcuno con la faccia sfigurata affacciarsi dal castello, di tarda sera.

Un presagio.

Poi riappare il diario scomparso.

Fell comincia ha paura che Colin che vuole sfatare il tabu della torre e dei misteriosi fantasmi o animali fantastici e invisibili racchiusi, passando la notte nella stanza di Angus, sia in pericolo di vita, visto che non ha ancora capito come Angus sia morto. E la sua paura diventa certezza, quando Colin vola a sua volta dalla finestra della torre. Ancora una volta si pone la domanda: suicidio, incidente od omicidio? Ma ancora una volta la stanza è chiusa dall’interno e sotto il letto viene rinvenuta di nuova una valigia con la gabbia, una sorta di canile portatile.

A questo punto Fell capisce cosa fosse contenuto nella valigia. E pensando ad un tentativo di omicidio, vuole trovare Forbes per interrogarlo. Ma non riesce a farlo perché quando trovano Forbes nella sua baracca, è appeso per il collo ad un cappio formato dalla cintura del suo accappatoio. Anche questa volta la porta è chiusa dall’interno per mezzo di un catenaccio.

Tuttavia a questo punto, anche il Fato fa la sua comparsa: Colin è volato sì dall’alto della torre,  senza che nessuno l’abbia spinto, ma per effetto di qualcosa che qualcuno gli aveva rimesso sotto al letto; e per di più non è neanche morto. No, si è rotto femore, un braccio e qualcos’altro , ma la pellaccia ha fatto il resto, Per l’assassino è un brutto colpo. Voleva farlo fuori. Già, ma… perché? Perché qualcuno avrebbe voluto uccidere Colin? E perché uccidere Forbes?

E’ vero che è stata trovata dentro la baracca una lettera di addio in cui si addossa le tre morti, però è anche vero che la suscettibilità di Elspat, la scomparsa e la ricomparsa del diario, le condizioni economiche drammatiche in cui avevano vissuto Elspat, Angus e Colin, ha convinto Fell che la prima morte sia stata la conseguenza di un suicidio: Angus voleva già uccidersi, solo che avrebbe voluto farlo nella sua stanza, con le imposte chiuse. Ma la cosa che era racchiusa dentro la valigia e che lo ha ucciso, il ghiaccio secco poi trasformatosi in anidride carbonica, lo ha costretto in un estremo anelito di vita, a correre dal letto alle imposte, aprirle di schianto, perdere l’equilibrio e cadere. Così, il volare fuori dalla finestra ha rivoluzionato gli intendimenti di Angus: se fosse stato trovato dentro la camera, Forbes sarebbe stato accusato di un delitto non suo e la vendetta di Angusa contro il suo ex socio si sarebbe concretizzata (e Elspat e Colin avrebbero approfittato delle 35.000 sterline dell’assicurazione); ma il volare fuori dalla finestra, ha sostanziato la presunzione  del suicidio, e volatilizzandosi l’agente killer nell’aria e non rimanendo invece nella stanza, è volata anche via la prova che l’avrebbe legato a Forbes.

Nel momento in cui Fell sa che Angus ha voluto uccidersi, e non è stato ucciso, ed con una lettera Forbes si accusa di averlo ucciso e quindi scusa la sua morte, Fell sa che è una lettera falsa e conseguentemente anche la stessa morte di Forbes si tramuta da suicidio in omicidio. C’è un assassino che uccide per cosa? Perché tutti pensino che i due fratelli siano stati uccisi da Forbes e che Forbes poi si sia ucciso; che non sa che Colin è scampato; e non sa che Fell ha preso informazioni dai volontari del servizio civile.

Fell ha capito anche come Forbes sia stato ucciso. Quando è stato rinvenuto, in casa c’era un puzzo di paraffina molto forte, e soprattutto la lampada in casa era spenta e la paraffine finita, e la cortina di oscuramento (un pannello incatramato da applicare alla finestra), escamotage per evitare che la luce interna uscisse all’esterno e quindi permettesse ad un cacciabombardiere di capire che lì c’erano abitazioni (il romanzo è scritto durante la Guerra ed i bombardamenti tedeschi sull’Inghilterra). Perché l’assassino uscendo non ha lasciato la cortina al suo posto? Perchè evidentemente non doveva esserlo. Così Fell pensa e ripensa e analizza le cose che lì dovrebbero esserci, perché quella è una baracca di pesca, e quindi ci sono strumentazioni per pescare, eppure manca l’unica cosa che dovrebbe esserci ed invece non c’è e che viene invece rinvenuta altrove, una canna da pesca smontabile: perché l’assassino l’ha portata via? Perché è stata usata per mettere in esecuzione il trucco della Camera Chiusa. Per farlo Fell ricorre alla geometria: lo sottolineo…alla geometria(ricordatevelo, che poi spiegherò il perché). La stanza è quadrata. La porta è al centro di un lato, e la finestra al centro di un lato adiacente alla base (non opposto, si badi bene). Il chiavistello è nuovo e in quanto tale riflette la poca luce nella stanza. Tramite un uncino con del fil di ferro, fatto passare attraverso le maglie della grata della finestra e collegato alla canna da pesca, l’assassino ha agganciato l’occhiello del catenaccio e in diagonale lo ha tirato a sé, chiudendo la porta dall’interno: ecco perché la cortina doveva essere rimossa dalla finestra, ecco perché ha svuotato al lampada come se la fiamma l’avesse esaurita (ma nessun volontario, pur notando la targa dell’auto dell’assassino ha notato luci dall’interno uscire all’esterno della casupola), ecco perché ha fatto sparire la canna (perché la modifica avrebbe potuto far capire il suo intendimento omicida).

L’assassino vuole che si pensi a due morti per omicidio, perché l’assicurazione paghi. Perché così lui intaschi. Chi allora è l’assassino? Elspat,la vecchia Elspat? No. Uno dei due giovani? Potrebbe. Tuttavia ecco affacciarsi anche un altro sospettabile, il terzo fratello, Robert, scappato dalla Scozia molti anni prima perché coinvolto in una truffa ed in una sparatoria, e riparato all’estero. Chi potrebbe essere? E non è forse un suo discendente, magari un figlio, ad essere interessato anche lui delle 35.000 sterline? Chi potrebbe essere? Uno dei due Campbell, Kathryn e Alan? Oppure il sedicente giornalista Swan ? Oppure l’agente assicurativo Chapman? Fell ricostruisce, acquista informazioni e inchioda l’assassino, a cui tuttavia offre questa volta una via di fuga, a patto che mantenga il suo intendimento, che cioè la morte di Angus venga presentata come un suo omicidio, e che egli si addossi anche la morte di Forbes e il tentato omicidio di Colin: se farà questo, Fell gli garantisce 48 ore di tempo per ritornare all’estero. Solo così Elspat potrà vivere gli ultimi anni della sua vita felice che il suo Angus non si sia suicidato.

Questo è un capolavoro!

Carr nel 1941 era al massimo della sua forma, e non ancora provato dalla guerra come testimoniò la sua produzione successiva (per es.  She Died a Lady), quando la sua casa risultò distrutta da un bombardamento.

Un capolavoro ho detto perché oltre ad esserci tre delitti risolti brillantemente uno per uno, con  smaglianti e brillantissime esposizioni e ragionamenti di prim’ordine, Carr dimostra il suo lato umano, dimostrando quello di Fell.

Fell non è un membro della polizia, a lui non interessa che il reo paghi o non paghi il fio delle sue colpe, ma che venga messo nelle condizioni di non nuocere; e qui addirittura gli offre una via di fuga, che non avrebbe meritato, perché ha ucciso spinto dall’avidità, e ha ucciso per di più un essere che non gli aveva fatto nulla come Forbes, per solo calcolo, al fine di far ricadere la colpa su di lui. Un assassino spietato, che avrebbe meritato ben altra sorte. Eppure Fell, per consentire ad Elspat di godere senza rimpianti e senza rimorso gli ultimi anni della sua vita, non esita a consentire all’assassino di mettersi in salvo purchè egli si addossi la colpa anche di quello che non ha fatto.

Ma il romanzo è capolavoro anche per la capacità narrativa di ammaliare il lettore, soprattutto attraverso passi di grande umorismo mediante i quali Carr riesce a svelenire la storia e a divertire. Tra i tanti personaggi , una grande rilevanza è data ai due Campbell, due studiosi di storia che si affrontano prima sulle pagine di un giornale con grande piglio e rasentando il vilipendio e l’offesa personale, per ritrovarsi (guarda caso) nello stesso scompartimento di un treno che corre alla volta di Glasgow; un treno affollatissimo, in cui per un disguido (altro caso) finiscono nello stesso scompartimento che ha un’unica cuccetta. Dopo aver ognuno dei due rivendicato il possesso di essa, dopo aver ognuno dei due chiesto un’altra lasciando quella all’altro (ma ovviamente non si può fare perché, altra fatalità, tutti gli scompartimenti sono occupati), l’atmosfera nera si risolve quando lui galantemente si offre di passare la notte in piedi nel corridoio lasciando la cuccetta a lei. E’ Kathryn Campbell allora a addolcire i suoi toni e ad offrire metà cuccetta a lui: cosa significa? Che dormiranno uno accanto all’altro (se non uno sull’altro). Dio li fa e li accocchia! Carr non dice anche stavolta come finisce però lo fa capire con un dialogo ad effetto:

A sense of intimacy, uneasy and yet exhilarating, went through Alan Campbell They were both crowded close to the window. The two cigarette-ends made glowing red cores, reflected in the glass, pulsing and dimming. He could dimly see Kathryn’s face.

The same powerful self-consciousness suddenly overcame them again. They both spoke at the same time, in a whisper.

“The Duchess of Cleveland -‘

 ‘Lord William Russell -‘

The train sped on.”

Bellissimo. E il lettore capisce subito che tra i due si è instaurato già qualcosa di più di un’amicizia, nonostante ciascuno dei due rimanga arroccato sulle sue posizioni.

Si arriverà verso la fine del romanzo alla piena coscienza di essere innamorati.

Per indicare questa tappa, il Nostro si servirà delle prime tre strofe di una ballata molto conosciuta al tempo di Carr, “I Love a Lassie” di Sir Henry “Harry” Lauder, che inserirà in un discorso pomposo e brillante, in cui anche Swan avrà l’ultima sua apparizione, prima che venga impallinato con un fucile da caccia cal.20 proprio da Kathryn:

Colin lifted the shotgun and waved it in the ait as though conducting an orchestra. His bass voice beat against the windows.

 ‘I love a lassie, a bon-ny, bon-ny  las-sie – ‘

 Swan, drawing his chin far into his collar, assumed an air of solemn portentousness. Finding the right pitch after a preliminary cough, he moved his glass gently in time and joined in.

 ‘She’s as pure at the li-ly in thedell-!

To Alan, lifting his glass in a toast to Kathryn, there came a feeling that all things happened for the best; and that to­morrow could take care of itself. The exhilaration of being in love, the exhilaration of merely watching Kathryn, joined with the exhilaration of the potent brew in his hand. He smiled at Kathryn; she smiled back; and they both joined in.

 ‘She’s as sweet as the heather, the bon-ny  pur-ple  heather – ‘

He had a good loud baritone, and Kathryn a fairly audible soprano.’Their quartet made the room ring. To Aunt Elspat, returning with a set of bagpipes – which she grimly handed to Colin, and which he eagerly seized with­out breaking off the song .

(Traduzione di Maria Antonietta Francavilla)

Colin brandì il fucile da caccia e lo sventolò in aria come la bacchetta di un direttore d’orchestra. La sua voce  i basso fece tremare la finestra:

Io amo una ragazza, una bella ragazza…

Swan ..si schiarì la gola trovando il tono giusto e attaccò anche lui, marcando il tempo col bicchiere

Pura come il giglio della valle!

Alan alzò il bicchiere in un brindisi a Kathryn e si sentì pervadere dalla confortante sicurezza che tutto andava per il meglio e che era inutile preoccuparsi pensando al domani. La felicità di essere innamorato e distar lì a guardare la ragazza che aveva accanto si unì al potere esilarante della dinamite che stava bevendo. Sorrise a Kathryn.  Lei gli restituì il sorriso e tutti e due si unirono alla canzone.

Dolce come l’erica, l’erica purpurea

Lui aveva una bella voce di baritono e Kathryn una gradevole voce di soprano. Il quartetto ora faceva vibrare addirittura le pareti della stanza. La zia Elspat tornò con le cornamuse e le porse con aria severa a Colin, che le acciuffò senza interrompere la canzone.”

E’ l’evoluzione del dialogo tra K.I. Mills e Douglas Chase in The Empty Flat: lì Carr non si era spinto tanto oltre perché la brevità dell’impianto narrativo di un racconto gli impediva l’accumulo e la risoluzione della tensione anche con dialoghi di amore.

Il dialogo dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, quanto Carr fosse scrittore nel vero senso della parola: se la cosa lo avesse interessato, come la sua collega Georgette Heyer, anche Carr avrebbe tranquillamente potuto sfornare con nonchalance romanzi sentimentali.

Laddove invece Carr dimostra di nuovo il cambiamento di rotta e la sua versatilità, e come sapesse anche affrontare con grande verve e spirito una parte brillante, in vari passi veramente spassosi: è quello che già avevamo messo in luce analizzando The House in Goblin Wood, dove alla tragedia che si sta per consumare, Carr oppone l’ilarità della scivolata e  caduta buffonesca di Merrivale per le scale dovute ad una buccia di banana. Prima le gaffes a ripetizione di Swan che lo rendono antipatico a Elspat e Colin; poi l’ubriacatura di Alan e Colin, di whisky stravecchio chiamato “La perdizione dei Campbell”, con conseguente duello con le Claymore, ammantati di tovaglie a quadri a indicare ipotetici clan, e successivo affondo contro le natiche del povero Swan, vittima designata, su istigazione di Kathryn, anche lei brilla;  Swan che viene omaggiato da due secchiate di acqua dall’alto della torre da parte di Elspat, proprio quando l’atmosfera si era rasserenata e lui era ritornato al castello; di nuovo Swan preso a schioppettate con un cal.20 prima da Colin e poi da Kathryn, dopo altra ubriacatura. Non solo! Poi ci sono tutte le espressioni e relativi corollari di invocazioni molto colorite di Fell quando si accorge di aver commesso degli errori di ragionamento:

-“ la sua espressione si mutò in una smorfia che intendeva esprimere il più gargantuesco tatto: – Posso sapere se voi die siete fidanzati?” (pag.87)

-Neanche per sogno!, gridò Kathryn. –  Allora per amor del cielo, cercate di sposarvi. E fatelo il più presto possibile!…Ma ciò che probabilmente leggerete sul vostro conto nel prossimo numero del Daily Floodlight, non piacerà affatto né all’università di Highgate  né a quella femminile di Harpenden : quella storia travolgente dell’inseguimento notturno di due tagliagola armati di claymore, mentre la signora gridava incoraggiamenti ai criminali che volevano assassinare il povero giornalista, è il colmo dei colmi (pag.88)

Alan s’interruppe perché sul viso del dottor Fell si era stampata all’improvviso un’espressione di pura completa idiozia. Il dottore stava strabuzzando e roteando gli occhi, e la pipa quasi gli cadde dalla bocca. – Oh tuoni e fulmini! Oh Bacco! Oh il mio vecchio cappello!”  (pag.152)

Alan vide di nuovo diffondersi sul suo faccione l’aria di stranito stupore e di totale imbecillità che aveva già notato tempo prima. Stavolta però sembrava più profonda e più esplosiva. “Oh cielo! Tuonò l’omone. – Che razza di cetriolo sono stato! Che somaro sesquipedale! Che idiota cosmico!” (pag.158)

Chi dice che l’essenza di Carr è nel racconto e che Carr migliorerebbe con parecchie pagine in meno dice qualcosa di assurdo secondo me: l’essenza di Carr non è nel racconto ma nel romanzo! Senza la possibilità di narrare, di mutare i toni, di variare l’atmosfera, di passare dal tragico al comico, di stupire , avendo naturalmente lo spazio e il tempo, Carr perde molto della sua forza espressiva. Carr non è come Hoch, come Commings, come Rawson che riescono a sintetizzare in pochi righi quello che lui può fare in molti. Anche se la grandezza della sua arte si esprime ai massimi livelli anche nei racconti. Pochi però assurgono al rango di capolavori.

Questo romanzo è straordinariamente interessante anche e infine come risposta di Carr ad una provocazione di Rawson. Intendiamoci, la provocazione è solo nelle corde di Carr, non in quelle di Rawson. Abbiamo accennato nel caso di un racconto di March, come Carr avesse risposto con una sua invenzione alla invenzione di un romanzo di Rawson. Qui io leggo un’altra risposta di Carr. Si esplica nella soluzione della camera chiusa nella baracca di Forbes. Cosa dice Fell ? Ecco:

-“Signor Duncan ve ne intendete di geometria?” (pag.197).

Geometria? Chi aveva già parlato di geometria? Rawson, attraverso il Mago Merlini in Death from a Top Hat (Morte dal Cappello a cilindro, 1938).

Il disegno si presentava così.

geometria 001La X – precisò Merlini – rappresenta il centro de cerchio. BC misura venticinque centimetri e BA dieci. Qual è il diametro del cerchio? Non è richiesto nessun calcolo…. Sbirciai sospettoso il diagramma e azzardai: Il quadrato dell’ipotenusa di un triangolo rettangolo è uguale alla somma dei quadrati degli altri due… Già – fece Gavigan – il quadrato di venticinque meno il quadrato di.. di.. – ma si impappinò. No, non possiamo trovarlo, se conosciamo soltanto l’ipotenusa. Dovremmo avere la lunghezza di XC per trovare XB….Il tempo è scaduto. Tutti e due sul banco degli asini.. La risposta è lì che vi guarda, sotto i vostri occhi. Vi ho chiesto il diametro e vi ho dato il raggio. Basta moltiplicare per due, non vi pare? “.

(Clayton Rawson: Morte dal cappello a cilindro, pag.174, trad. Giuseppina Caricchio – C.G.M.  417 del 1983).

Ma anche in “Gideon fell e il caso dei suicidi”,  c’è un problema di geometria:

“-La geometria appartiene al limbo dei vecchi giorni di scuola, insieme all’algebra, all’economia e ad altre materie ugualmente funeree. Non son mai riuscito a dimenticare che il quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei cateti…Pure in questo caso potrà esserci utile considerare la casupola di Forbes nella sua forma geometrica. Si tolse di tasca una matita e abbozzò un disegno nell’aria.

piantina 001(L’abbozzo a matita è mio)

-La casa è quadrata, su per giù tre metri e mezzo per tre metri e mezzo. Immaginate la porta al centro della facciata; immaginate la finestra al centro della parete di destra…. Va alla finestra. Introduce la canna da pesca, tra le maglie della grata… e allunga la canna stessa verso la porta, in diagonale” (pag. 198-199).

Non si può non pensare ad una risposta di Carr, non vi pare?

Il romanzo di Rawson è del 1938, quello di Carr è del 1941.

Io alle troppe coincidenze non credo. E pertanto…

Anche per questo dico che quest’opera di Carr è un capolavoro.

 

Pietro De Palma

Alan Green : Dramma sull’isola (What a Body!, 1949) – I Gialli del Secolo n.55, Casini, 1953

$
0
0

IsolaPer chi come me ha problemi di dieta, le palestre e un regime salutistico sono da sempre uno spauracchio: si vorrebbe avere sin dalla nascita un fisico tale che qualche pizza in più non significhi per forza un peso maggiore, un metabolismo efficiente e accelerato così da smaltire il grasso in eccesso, però poi immancabilmente si ricade nel richiamo della gola. Un romanzo pertanto in cui si parli di un’isola in cui si pratichi un regime salutistico e di dieta per rientrare nel peso e in cui proprio il fondatore di tale oasi venga ucciso, beh non poteva passare inosservato. Tanto più che è una Camera Chiusa!

L’autore?  Alan Green.  Nato nel 1906 e morto nel 1975, fu uno scrittore e  pubblicitario americano. Scrisse solo sette romanzi e una novella con cui cominciò una breve ma significativa carriera: Beauty on the Beat, 1932, novella; Death on the Limited, 1933 (pseudonimo Roger Denbie); Murder to Music, 1934 (pseudonimo Glen Burn); How To Do Practically Anything, 1943 (pseudonimo Alan Jack); What a Body!, 1949; They Died Laughling, 1952; Mother of Her Country, 1954. Proprio con What a Body! vinse nel 1950 l’Edgar per il miglior primo romanzo.

Roland Lacourbe inserì What a Body! nella sua lista delle 99 Camere.

Il romanzo si svolge su un’isola dove il guru delle diete e dell’esercizio fisico ad oltranza, Merlin Broadstone ha posto il suo quartiere generale in un villaggio con albergo, piscina, teatro e solarium, e dove whisky e fumo sono banditi. Tutti vengono da ogni remoto angolo degli States proprio in quest’isola, per ritrovare la forma perduta, per liberarsi dei chili in eccesso, per scolpire un fisico perfetto. Merlin vi abita con la sua famiglia, che egli domina con la sua indiscussa personalità e coi suoi soldi; e siccome non tutti vivono felici, ma ognuno vorrebbe una vita diversa da quella che conduce lì (chi come Carl vorrebbe sposare la cameriera Nancy; chi come Joanna non sa decidersi tra i due politici opposti, uno repubblicano e l’altro democratico; chi come Sandra, vorrebbe avere dei soldi e rifiutare la propria parte dell’eredità, pur di continuare a studiare ballo e vivere lontano da lì), finisce che  moventi per cui Merlin lo si vorrebbe defunto, così da assicurare una liquidità inaspettata ai suoi parenti, ve ne sono a bizzeffe. Tanto più ora che Merlin vorrebbe addirittura aprire una clinica, e impiegare tutti i soldi che ha.

Insomma per farla breve, un tale giorno, Merlini invece di scendere per la prima colazione alle sette, non si fa vivo. Per cui messi in allarme i suoi parenti, si trova la sua camera da letto chiusa dall’interno e nessuna risposta di Merlin alle grida. Quando si riesce ad aprire la porta con un passepartout, lo si trova morto con una ferita a livello della schiena: il proiettile ha raggiunto il cuore. Essendo egli un colosso, è evidente che per aver raggiunto il cuore passando dal basso schiena, chi gli ha sparato, l’ha fatto dal basso.

Viene inviato sul posto il tenente John Hugo, poliziotto di doti certamente non brillanti, tanto più che egli sembra un po’ l’anti-detective per eccellenza: appena arrivato, senza neanche passare in rassegna le varie deposizioni, si va a prendere una cotta per una delle indiziate maggiori, Sandra Lockhart figlia di Martha (sorella di Merlin) e quindi nipote di Merlin, e ne fa la sua assistente in certo senso, tradendo quindi ogni elementare cautela. Per di più è assai maldestro nelle indagini.

Certo è da dire che l’indagine non è facile: vi sono infatti oltre a Sandra, tutti gli altri eredi da vagliare e tutti, chi più chi meno, avevano motivi per uccidere Merlin, che non era certo molto amato; in più vi sarebbero gli eredi indiretti: Arthur Hutch marito di Hester Hutch, sorella di Merlin; Nancy, la cameriera che Carl ha promesso di sposare (dopo averne fatto la propria amante); Daniel Joyce, il legale di Merlin, che oltre che avere rancore nei confronti di Merlin per un affare andato a male, dovrebbe esserne esecutore testamentario e in quel caso intascare una bella parcella; e infine Ned Dumbrow, senatore repubblicano che fa la corte a Joanna, che è stato anche lui come Joyce truffato per una speculazione immobiliare andata male, ispirata indirettamente da Merlin. Insomma di possibili assassini ve ne sono a bizzeffe.

La vicenda è per di più ingarbugliata in ragione della stessa dinamica dell’omicidio: essendo stato colpito dal basso verso l’alto, si presupporrebbe che l’assassino avesse colpito Merlin stando per lo meno accovacciato se non in ginocchio o sdraiato. Ma comunque a turbare ancor più la dinamica vi sono due fatti: primo, la camera è stata rinvenuta chiusa dall’interno (c’era la chiave nella serratura che rendeva impossibile aprire anche con un passepartout senza aver prima fatto caderela chiave dall’interno della stanza); secondo, la vittima, dopo esser stata uccisa è stata rivestita col pigiama: infatti esso non reca fori nella sua parte posteriore. Ma perché l’assassino si è dato la pena di rivestire il cadavere? Vengono supposte due possibili ipotesi: che Merlin sia stato ucciso mentre si faceva la doccia e allora chi l’ha rivestito ha voluto far credere che invece è stato commesso quando l’indossava già (ma i poliziotti dovrebbero essere davvero babbei); che il delitto sia stato commesso più tardi di quanto l’assassino non voglia far credere: avrebbe così senso il fatto di aver spogliato Merlin che si alzava sempre alle 6.30 del mattino e di avergli rimesso il pigiama. La prima ipotesi viene distrutta dal fatto che la doccia è asciuttissima, e quindi l’omicidio è avvenuto prima che egli se la facesse; mentre la seconda rimarrà in essere fino alla soluzione.

Intanto un’altra cosa è avvenuta prima dell’arrivo del tenente imbranato: la stessa mattina del ritrovamento del cadavere di Merlin, al quarto piano dell’albergo, laddove sono alloggiati tutti i membri delle famiglie delle sorelle di Merlin, dal cognato di Merlin, Arthur, il più sveglio della compagnia (anche del tenente), viene ritrovato al pianoterra del teatrino, il legale di Merlin, Daniel Joyce, con una vistosa ecchimosi in volto ed una gamba fratturata: dice di essere stato aggredito da un tale con un vestito verde che lo ha attirato colà con l’inganno e poi lo ha aggredito, dileguandosi.

In questo contesto viene a svolgere le proprie indagini il tenente Hugo. E ben presto deve accettare una prima novità: Carl, uno dei due figli di Athur, perennemente sbronzo, un fannullone perditempo che non sa far altro che bere e “scoparsi” Nancy, rivela che ha visto dalla finestra della sua camera una vampa di fuoco proveniente dalla piscina, che è sotto e dirimpetto alla camera di Merlin. L’ora? Alle 6.40 del mattino. Carl chiede tuttavia a Nancy, dopo aver passato la notte con lei, che lei “lo copra” dalle 5.30  in poi, testimoniando che è stato con lei fino alle 6.30, perché sarebbe stato impossibile in dieci minuti, rientrare nella camera di Carl, spogliarsi, indossare un costume da bagno, immergersi nella piscina, sparare, uscire dalla piscina, asciugarsi, aggredire Daniel nel teatrino e ritornare in albergo. Nancy con la prospettiva di sposarsi e finire di fare la cameriera, accetta di fornirgli una testimonianza ad hoc. La testimonianza è necessaria perché Car rivela che dopo essere uscito dalla camera di Nancy ancora un po’ sbronzo, si è addormentato sulle scale e si è svegliato solo dopo aver sentito la porta sbattere.

La testimonianza di Car che sia vera o no, tuttavia sposta le indagini ora dalla camera all’esterno: Merlin è stato ucciso da chi era immerso in acqua e gli ha sparato dalla piscina, tenendo la pistola sopra l’acqua, magari utilizzando qualcosa che galleggiasse. Allora non c’è una Camera Chiusa? No, quella rimane, perché nessuno si spiega come al momento del ritrovamento il cadavere presentasse un pigiama senza il foro di entrata della pallottola, una calibro 38. Quindi è evidente che dopo lo sparo, l’assassino o un suo complice è entrato nella camera di Merlin per rivestire il cadavere del pigiama, lasciandosi poi la camera chiusa dall’interno (sgombrate il cervello dalla possibilità che l’assassino o il complice abbia potuto fare un tuffo in piscina lanciandosi dal quarto piano, perché nel punto medio della piscina da dove Carl ha visto la vampa, ma non ha sentito il suono (particolare molto importante che nessuno si spiega al momento) dello sparo, l’altezza dell’acqua non supera il metro e ottanta e quindi chi si fosse lanciato dal quarto piano, si sarebbe sfracellato in acqua.

Le deposizioni dei vari sospettati per di più, invece di diradare le nubi, non fanno che addensarle: Joanna, che a trentadue anni suonati, non fa nulla oltre la civetta con ambedue i politici, li mette inevitabilmente contro, nonostante il democratico Homer Bentley (che oltre che essere deputato è anche medico della polizia) sia già avverso al repubblicano Dumbrow; Dumbrow è innamorato di Joanna e le invia lettere compromettenti: una di queste scompare dalla camera di Dumbrow; un’altra che era stata cominciata e non finita viene anche sottratta; Nancy ritrova nei cestini della carta straccia delle varie camere varie cose interessanti, tra cui una nota di lavanderia (in cui si legge un capo di color verde) e l’inizio di una lettera strappata di Dumbrow; altra parte viene trovata da altri; Joyce relaziona sulla sua visita da Merlin la sera prima della morte affinchè liquidasse Sandra e la madre, e in cambio Sandra, per avvalorare la testimonianza di Joyce che gira in carrozzella e che parla di un tizio in abito verde, che nessuno ha visto, brucia sulla spiaggia una sottana di color verde; prima che si rinvenisse la stoffa bruciata, “i due colombi”, Hugo e Sandra erano andati sulla spiaggia dietro l’Hotel a fare un bagno e prendere il sole, e lì casualmente avevano trovato la pistola, una calibro 38, con matricola abrasa; infine dopo questo turbillon di situazioni tra il grottesco e l’inconcepibile, i due trovano anche in piscina un bossolo di cal.38

Che fa il poliziotto? Lo mette in tasca.

Isola1_Non bastano i colpi di scena in questo stranissimo posto? No. Perché il giorno dopo la morte di Merlin, arriva sull’isola un giovane alto uno e novanta, tale Lovechild Jones Broadstone, che afferma di essere figlio illegittimo di Merlin, consegna uno stato di identità, confermato da suo nonno, e di essere arrivato a reclamare non solo la sua parte di eredità ma anche il posto che gli spetta come sostituto naturale del padre, cui assomiglia moltissimo, avendo seguito fino ad allora un regime salutistico.

Joanna a questo punto si innamora follemente di Lovechild anche perché lei è alta ed è attratta da un giovane che lo è ancor più di lei, e lui non ha mai sentito il richiamo sessuale e ora lo sente avvertendo che c’è chi stravede per lui.

John Hugo si mette anche lui a fare ginnastica, sul solarium sopra il teatrino, e perde il bossolo: lui sostiene che glielo ha sottratto Carl, perché lui nel frattempo ne ha trovato un altro, sempre in piscina: siccome è impossibile che vi siano due pistole e due spari diversi, perché una è la vampa e uno è il proiettile, è evidente che Carl deve averglielo rubato. Ma perché?

Intanto Dumbrow, conferma la tesi di Carl e parla anche lui di una vampa che ha visto con la coda dell’occhio, alle 6.40 del mattino precedente, emanarsi dalla piscina. Tutta via aggiune un altro particolare, che ingarbuglia ancor di più le indagini: ha visto Joyce sul solarium del teatrino affacciato alla ringhiera, nel momento in cui ha visto la vampa dello sparo. Che ci stava a fare Joyce sul terrazzo del teatrino? Allora non è vero che fosse entrato al piano terra del teatrino e lì fosse stato attirato da qualcuno. Troppe bugie. Daniel rivela che stava alla luce del sole, sistemando alcune carte per una faccenda legale. A sua volta dichiara che dal punto dove stava lui non ha riconosciuto nessuno in acqua.

A questo punto Hugo, dopo aver prima provato ad accusare Carl, per non accusare Sandra; dopo aver formulato le accuse contro Sandra, con l’aiuto di Arthur, dopo una notte passata a sbronzarsi, quasi che il whisky aiuti a diradare le ombre anziché addensarle, riuscirà a inchiodare il vero colpevole, dopo che ancora una volta si sarà prodotto un rivolgimento dei fatti, avendo provato Arthur che lo sparo non era provenuto dalla piscina ma da altro luogo e che il bagliore era a sua volta il prodotto di un effetto ottico, e che la camera Chiusa era spiegabile nel modo più banale possibile, e che ancora il particolare del pigiama si spiegava con un determinato esercizio ginnico che Merlin stava facendo dopo essersi alzato.

Il romanzo lo dico subito, a me è sembrata una parodia, un trionfo delle parodie, un tentativo riuscitissimo peraltro, di dissacrare un genere ed in particolare il detective anni ’30: lì era coltissimo, esperto in numerose branche scientifiche, fine esteta e collezionista di manufatti il più preziosi possibile, riusciva a sondare l’animo umano attraverso processi molto elaborati di psicologia (Philo Vance, il primo Ellery Queen, il De Puyster di Rufus King, il tenente Lord di Daly King etc), qui invece troviamo l’antidetective: imbranatissimo, sbaglia tutte le possibili ipotesi; invece di tenere a distanza gli indiziati come farebbe almeno Archibald Hurst, amoreggia con una delle indiziate più sospettabili, la mette al corrente delle proprie indagini (ma il segreto d’ufficio dov’è?), addirittura trova con lei le prove (il bossolo lo trovano assieme in piscina: ma al buon Hugo non viene proprio in testa che proprio lei avrebbe potuto lasciar cadere il bossolo in acqua prima di individuarlo?), si comporta prima che come un tenente di polizia, come un ragazzotto ingenuo alle prime armi.

Tuttavia la dissacrazione di Green abbraccia più fronti: non si concentra solo sulla figura del detective, ma anche sulle sue abitudini: non si è visto mai, prima di questo romanzo, che il detective, invece di esaminare i personaggi e le prove, si metta a fare ginnastica, avendo in tasca, nella tasca dei pantaloni, il bossolo, che poi perde, e viene ritrovato da Carl, e per di più lui invece di pensare di averlo perduto, insinua che gliel’abbia borseggiato (ma poi come avrebbe fatto?) lo stesso Carl; non si è mai visto che un ufficiale di polizia, in servizio, non solo beva whisky, ma addirittura si ubriachi; non si è mai visto che l’ufficiale di polizia che è colui che sembrerebbe essere il deus ex machina, sia messo sulla traccia giusta dallo zio della sua innamorata, che diventa per così dire lo Sherlock Holmes della storia mentre lui retrocede a Dottor Watson anzi a Lestrade. Peggio di Lestrade.

E dissacra anche la vena salutistica della bellezza a tutti i costi, del fisico perfetto, delle diete. Lo si vede già nell’ironia del titolo inglese, che tradurremmo con un’esclamazione: Che bel corpo!

Il tutto con un ritmo irresistibile, da feuelliton di fine secolo, con innumerevoli gag al limite del comico se non del surreale.

John Hugo è un personaggio veramente unico: se non può essere idiota (perché poi si dovrebbe pensare che essendo diventato tenente, altra gente più in alto di lui, sarebbe dovuta essere molto più che idiota per promuoverlo a tenente!), è sicuramente un personaggio che cammina sulle nuvole, di una inconsistenza quasi proverbiale. Per di più, questa levità e surrealtà non è caratteristica solo del detective principale, ma anche dei sospettati: le loro storie, i loro comportamenti, che generano continui malintesi, come nella miglior commedia fine secolo, sono alla base di certi eventi e nello stesso tempo annullano gli effetti di altri: per es. la lettera che il senatore repubblicano scrive per Joanna, è alla base di un subplot irresistibile, che non c’entra nulla col colpevole, anche se anche lui, ha una parte in esso: la lettera viene scritta e poi strappata e buttata nel cestino, da cui viene recuperata da Nancy e data a Carl; Joanna vorrebbe entrarne in possesso per non dare a Lovechild l’immagine di una civetta; la lettera si capisce che non è quella vera, ma Joanna pensa che Carl non gliela voglia dare, per altri motivi. Quando gliela da, si vede che non è la vera lettera, che nel frattempo è stata sottratta (rubata) dal deputato democratico (che poi è medico della polizia (???) dalla stanza di Dumbrow per servirsene in prospettiva politica ed impedire che egli venga rieletto al senato nel suo distretto; mentre Dumbrow lo accusa di avergliela rubata, qualcuno mette sulle tracce Carl e Nancy che a sua volta, rubano la lettera dalla stanza di Bentley, il quale a sua volta chiede che al polizia intervenga per arrestare il ladro che ha rubato la lettera (ad un altro ladro, lui, che l’aveva rubata a Dumbrow). Insomma un casino mondiale.

Il plot surreale di questo romanzo e tutte le sue variazioni deve inoltre farci considerare il fatto che se tutti questi segmenti narrativi fossero stati inseriti in una commedia, non avrebbero destato alcuna sorpresa, mentre generano sgomento e stupore se inseriti in un romanzo poliziesco a enigma che dovrebbe avere un certo portamento distinto quantomeno e non invece grottesco.

Nonostante questa prospettiva surreale ma veramente divertente (il romanzo è di una leggerezza e di un gusto raro, anche in una traduzione tagliata come quella di un romanzo Casini de I Gialli del Secolo), l’enigma è veramente interessante, e nonostante la soluzione della Camera Chiusa sia banale (mi ha ricordato in un certo senso la soluzione di quella nel romanzo di Peer & Wahloo di quarant’anni dopo), come Merlin venga ucciso e come si possa spiegare il pigiama non presentante traccia di sparo, è altamente geniale, e geniale è anche la spiegazione del luogo vero dove è stato esploso il colpo, che ci rimanderebbe a soluzioni carriane basate sulla fisica ottica, se lo stesso Commings non avesse esemplificato esattamente il principio su cui si basa la soluzione di questo romanzo in un suo racconto spiegando a sua volta così una sparizione impossibile. Sorprendente poi è il fatto che le due opere, il racconto di Commings e il romanzo di Green, che risolvono la bislocazione alla stessa maniera, furono pubblicate nello stesso anno, 1949.  Peraltro, una volta individuato il vero luogo, come e perché il bossolo sia trovato in piscina il lettore molto smaliziato (come me) può anche immaginarlo.

Se vogliamo la Camera Chiusa è risolta in maniera assai banale, allorchè si risolva l’enigma concernente il rivestimento post mortem di Merlin: se vogliamo è la conseguenza diretta.

Bellissimo romanzo che proprio per la sua vena di dissacrante umorismo a ben donde vinse l’Edgar nel 1950.

Qualche anno fa in seno al Blog Mondadori (era il 2010 se ricordo), Boncompagni ricordò questo romanzo (e altro di Green, scritto come Denbie, di ambientazione crocieristica simil cdalykingiana), aggiungendo che Luca Conti ne aveva parlato con Polillo, il quale aveva dimostrato tiepido interesse per la sua pubblicazione. A questo punto c’è solo da sperare che Polillo nel frattempo abbia cambiato parere. Perchè il libro di Green, come si può desumere da quanto ho detto sopra e come ricordò lo stesso Boncompagni, “è un gran bel romanzo“.

Pietro De Palma

Hake Talbot – Dall’altra parte (The Other Side, postumo 1990) – senza trad. in Delitti Impossibili 1, Garden Editoriale, 1993; trad. Dario Pratesi in Delitti Impossibili, I Bassotti, Polillo, 2012

$
0
0

Quella raccolta di racconti di Adey pubblicata da Garden, “The Art of Impossible“, ebbe il compito di far conoscere dei racconti mai pubblicati prima. E se si tien conto che soprattutto Garden non si può dire sia mai stata una diretta concorrente di Mondadori (qual è ora per es. Polillo per quanto attiene al Mystery), la cosa riempie ancor più di meraviglia.

Fatto sta che il primo volumetto dei tre, conteneva tra gli altri, un pezzo eccellente, un racconto che per molti anni è stato unico in Italia, “Dall’altra parte”, di Hake Talbot. Poi, nel 2012, proprio Polillo, si è ricordato di questo splendido racconto e l’ha inserito nella sua strenna natalizia, Delitti Impossibili, con altra traduzione. Tanto più che di Hake Talbot, c’è veramente poco in giro: i suoi due romanzi, Rim of the Pit e The Hangman’s Handyman  (entrambi tradotti da Mondadori) e solo due racconti, The High House e The Other Side. In realtà, Henning Nelms, questo il vero nominativo di Hake Talbot, di racconti ne scrisse molti, ma al momento risultano dispersi, come pure scrisse addirittura un terzo romanzo,The Affair of the Half-Witness, che in seguito, siccome non trovava chi volesse pubblicarlo,non si sa se sia stato distrutto oppure se sia semplicemente ancora dimenticato (magari in qualche soffitta della città di Arlington, dove egli visse).

Anticipo che del racconto darò la soluzione perché data la brevità di esso, per potermi addentrare in certe sue caratteristiche, non posso fare altrimenti. Per cui, chi non l’abbia letto ancora, se lo procuri e poi, solo dopo, legga questa analisi.

I personaggi sono quelli già visti in The Rim of the Pit, cioè il giocatore Rogan Kincaid, e l’illusionista Svetozar Vok.

Questa volta sono impegnati a smascherare il capo di una setta, tale Ergon, ungherese , che ha acquisito un notevole potere su   Imogene Lathrop, tutrice della sedicenne, e quindi ancora minorenne, Daphne Lathrop, figlia di un fratello di Imogene, prematuramente deceduto e grazie a questa influenza, sta tentando di acquisire a sua volta la tutela sulla ragazza, per poterne amministrare l’ingente fortuna. Tuttavia, al suo piano si oppongono i due fratelli di Imogene, il Colonnello Boyd Lathrop molto alto e secco, e il maggiore dei due, e il Maggiore Clifford Lathrop, più grasso, basso e il minore dei due. Il maggiore dei due, Boyd, ha incontrato per caso Kincaid, che ha già conosciuto nel passato, e a lui chiede aiuto per smascherare Ergon. Così lo conduce a casa sua, e qui Kincaid fa anche la conoscenza di Ergon, giacchè questi abita nell’appartamento adiacente a quello dei due fratelli e della ragazza. Proprio davanti a Kincaid ha luogo l’ennesimo scontro tra Ergon e i due fratelli: Ergon vuole restare solo coi due, poi c’è uno scontro tra di loro, a cui dopo  seguirà il pronunciamento di un’ oscura minaccia, che in sostanza è una maledizione mortale, nei confronti di Boyd reo di avere sfidato colui che è protetto da potenze dell’Oltretomba.

Mentre l’atmosfera è surriscaldata, e Boyd è turbato dalla minaccia di morte indirizzatagli dal santone, accade l’irreparabile: con la scusa di andare nel salotto, laddove c’è il camino e una collezione di armi da tiro, di cui i due sono fanatici, a provare una pistola, accade che Boyd sembra che abbia rivolto una contro se stesso, giacchè un secondo dopo che è uscito dalla stanza dov’è il fratello e Kincaid, si sente lo sparo e Roger appena varcata la soglia della stanza, vede cadere a terra  Boyd Lathrop, ferito mortalmente da un proiettile, sopra l’occhio destro.

Nella stanza non c’è nessuno, le finestre sono chiuse dall’interno, e non c’è altra apertura, tranne quella attraverso la quale è passato Kincaid attirato dallo sparo; e il fatto che sia arrivato appena in tempo per vedere il corpo senza vita di Boyd accasciarsi a terra, significa che nessun altro ha avuto la possibilità di uccidere il colonnello e uscire da lì senza non dover volatilizzarsi per forza.

La pistola viene trovata sotto un divano. Viene lasciata lì in attesa che arrivi la polizia scientifica e il tenente Nichols, conoscente di Kincaid. Quando viene esaminata, si trovano solo le impronte del colonnello, e risulta che è proprio quella l’arma usata per uccidere.

A questo punto parrebbe che solo l’ipotesi del suicidio stia in piedi: la pistola l’ha maneggiata solo lui, è la pistola che ha sparato, nella stanza non c’era nessun altro, l’uscio era solo quello attraverso cui era passato lui e poi Kincaid, e le finestre erano sbarrate. Insomma…

Ma il fretello della vittima non si rassegna: non c’era alcun motivo che suo fratello potesse suicidarsi; e poi perché? Piuttosto…può darsi che sia stato indotto ad uccidersi. E come? Mediante la cantilena che tutti hanno sentito pronunciare dal Santone, pochi minuti prima della tragedia. Poi si pensa che l’induzione sia stata possibile attraverso un’altra forma di istigazione all’omicidio: l’ipnotizzazione.

Insomma Kincaid a questo punto chiama in causa il suo amico Svetozar Vok perché lo aiuti a scoprire come abbia fatto Ergon a uccidere il colonnello senza lasciare traccia di sé.

Vok arriva ed elabora un piano per prendere di sorpresa l’ungherese. Lui è ceco ma l’idioma ungherese lo conosce: cercherà di costringerlo a tradirsi.  Cosa che accade. Il successivo tentativo di uccidere Vok sarà la prova della sua colpevolezza.

Diciamo subito che la Camera Chiusa è veramente tale: qui non c’è qualcuno che aiuti il santone come accade altre volte, né vi sono trucchi a riguardo del tempo spostato avanti o indietro, e del resto non potrebbe essere perché Kincaid quando sullo slancio entra nella stanza da dove ha sentito lo sparo, non vede la pistola fumante (in quel caso vari potrebbero essere i trucchi per far accadere ciò) ma il corpo che cade fulminato: quindi non v’è tempo per imbastire un trucco, semmai se ve ne sia uno (e c’è), esso è stato già messo in pratica. Semmai vi è stata prima dell’uccisione una messinscena, che non è connessa direttamente all’uccisione ma invece ha un compito diversivo: far pensare che ci sia stato un suicidio o comunque che Ergon tramite una maledizione o intimazione ipnotica lanciata dall’appartamento adiacente Lerd ferbeh maghaad, “ti farai saltare le cervella”, sia riuscito a far sì che il colonnello si uccidesse.

In realtà il trucco è stato un altro e in questo è il tocco di genio di Talbot: siccome i due appartamenti, quello occupato dai fratelli Lathrop e quello del mago ungherese sono identici e adiacenti e hanno anche i medesimi accessori, cioè un caminetto per lato, col lato in comune e la canna fumaria pure in comune, potrebbe essere stato esso la porta per entrare nell’altro appartamento, per esempio una porta segreta nella muratura interna del camino (come per es. in Indiana Jones e l’ultima crociata). Invece il caminetto non c’entra nulla, e del resto, essendoci stato del fuoco e cenere, se qualcuno fosse passato, non essendoci stato il tempo materiale per pulire – sparo, morte, entrata in scena di Kincaid – sarebbe rimasta la traccia di polvere sul pavimento. No. Il trucco è un altro, più geniale: a lato del caminetto, in ambedue gli appartamenti, vi sono dei portalampade fissati nel medesimo punto: lasciando un foro nel muro per lato, in sostanza, essendo le pareti divisorie tra i due appartamenti sottili, tanto che si sente la maledizione lanciata da Ergon, è bastato sfondare quel poco di muratura, per avere un foro comunicante: attraverso questo è stata introdotta la canna della pistola, e quando l’alto colonnello si è chinato per esercitarsi con una pistola contenuta nella cassetta vicino al caminetto, è stato centrato alla fronte da un colpo di pistola sparato quasi a bruciapelo.

Detto così il racconto sarebbe un must. Tuttavia a me non pare. Mi spiego.

Quando analizzai The Rim of the Pit, ebbi a dire : “non riesce, al pari di Carr, cui si richiama, a fornire una spiegazione chiara ed accettabile dei delitti, che invece rimane farraginosa ed irrisolta, a testimoniare che non sempre, arrampicandosi sugli specchi, si riesca poi a scalarli. Insomma quello che in ambiente molto più specialistico del mio, altri affermano : “The actual impossible murders (there are two) are well set up but less convincingly resolved, though they’re certainly original. In my opinion it’s very good, but not great.”.

http://camerechiuse.blogspot.it/2015/12/hake-talbot-lorlo-dellabisso-rim-of-pit.html

L’ho detto in quell’occasione, lo ribadisco in questa: Talbot è grande nella messinscena, crea un grande trucco ed è abile anche nel tentare un’azione diversiva facendo credere al suicidio, e in questo caso riesce anche a creare un’atmosfera tangibile tale che fino a poco prima della fine, veramente si pensi ancvhe allo scontro tra due entità psichicamente forti: Vok ed Ergon. Quando Vok, assieme a Kincaid e tre poliziotti tra cui Nichols, entra nell’appartamento di Ergon, e lì psichicamente i due, il ceco e l’ungherese si affrontano, la scena è fortemente caratterizzante e il lettore tiene il fiato sospeso e fino all’ultimo pensa finanche che Ergon sia stato a sua volta ipnotizzato da Vok e costretto ad autoaccusarsi. Però il racconto è debole proprio sul fronte della risoluzione del problema: in altre parole Talbot, una volta ideato il plot e creati un trucco spettacolare che spieghi l’arcano, poi non riesce a trarne tutto il vantaggio che vorrebbe perché è deficitario in qualche parte.

I difetti del plot io li individuo in :

nella sostituzione della pistola: si è detto che è stata trovata una pistola sotto al bordo del divano. Come ci sia finita, verrà esemplificato nella spiegazione finale: Ergon si è impossessato di due pistole, e nel momento in cui è apparso per la prima volta dinanzi a Kincaid e ha chiesto  di rimanere solo, portando nelle ampie maniche del saio che indossa una pistola, è riuscita a farla cadere vicino al divano. Ora, far cadere qualcosa rimanendo in piedi, si può anche fare (non si accenna a tappeti in grado di attutire il rumore) sperando che non si produca alcun rumore in grado di richiamare l’attenzione o magari producendo un rumore pari per distogliere l’attenzione. Ma poi è stato necessario – per forza – sostituire questa pistola, usata già e con le impronte dei due fratelli, con l’altra, quella che ha sparato. E come ha fatto Ergon? Di questa seconda entrata in scena, non ne viene data alcuna esemplificazione

disattenzione del Maggiore Boyd : è possibile che dopo la morte del fratello, il Maggiore non abbia controllato le armi di cui lui e il fratello si servivano e non abbia osservato che dalla cassetta mancava un’altra pistola? Inverosimile

ma soprattutto il foro nel muro : perché la morte sia stata possibile, era necessario non solo che Ergon togliesse il supporto del portalampade dal suo appartamento, ma anche quello dell’appartamento adiacente, altrimenti il colpo di pistola avrebbe fatto saltare in aria il portalampade dell’appartamento dei due fratelli e non il cervello di Boyd Lathrop. Ma allora, si dovrebbe automaticamente supporre che il supporto dalla stanza dei due fosse stato preventivamente asportato per rendere esecutivo l’assassinio. In questo caso, ci si dovrebbe chiedere per quale motivo i due fratelli non si siano accorti del portalampade asportato dal muro del proprio appartamento. Ma anche posto che il portalampade fosse al suo posto nel muro, mascherando il foro e che solo un momento prima dell’omicidio Ergon lo abbia spinto dall’altra parte facendolo cadere e liberando il foro, come mai sarebbe riuscito a rimascherare il foro dopo lo sparo? E’ questo il punto. Perché dopo la morte di Boyd Lathrop, pur riconoscendo in altra parte del libro la sottile psicologia deduttiva di Kincaid che riesce a vedere e spiegare ciò che altri non vedono e non spiegano, nel momento in cui è entrato nella stanza e ha visto cadere fulminato il povero Lathrop, non ha visto nessun foro nel muro; e del resto un momento dopo è arrivato nella stanza Clifford, e neanche lui si è accorto di un foro nel muro e dell’assenza di un supporto per lampada? Del resto, vi è anche una conseguenza diretta di ciò nello scontro finale tra Vok ed Ergon: quale fine avrebbe avuto uno scontro tra Vok ed Ergon se il metodo di uccidere senza entrare nell’appartamento fosse stato già chiaro prima?

Infine vi è il succitato  scontro psichico tra Vok ed Ergon:

quello che non si capisce è cosa sia questo scontro psichico e che fine abbia, se il fine non è ipnotizzare. Teoricamente Vok si scontra psichicamente con Ergon per avere delle prove, che altrimenti sarebbero futili: ma che prove sono se a parlare, cioè a confessare non è Ergon ma Vok che spiega cosa ha fatto Ergon? Per di più Vok dice che Kincaid aveva capito già tutto, ma serviva una rappresentazione per indurre una personalità tanto forte, capace di soggiogare, ad essere soggiogata. Però anche questa asserzione è difettosa: come ha fatto Kincaid a capire tutto, se entrano nell’appartamento di Ergon immediatamente prima dello scontro psichico, e solo allora si accorgono che i due appartamenti sono speculari e arredati con gli stessi accessori, eccezion fatta per il mobilio che non c’è tranne una rozza stuoia sul pavimento?

Ecco perché dico che al pari di The Rim of the Pit, anche questo racconto non risolve tutto quello che viene inserito: questo è il grosso limite di Talbot, che non riesce a tener conto di tutto quello pensa. E’ come se scrivesse di getto le sue opere, senza tener conto delle aspettative che tutto quello che aveva scritto avrebbe generato. Pecca ina altre parole di troppa fantasia non mitigata dalla razionalità: come non chiedersi conto del foro nel muro? E come non pensare che Kincaid che si spaccia per un cervello fine, proprio in occasione della scoperta del cadavere, non lo rilevi e neanche il fratello rimasto se ne accorga? E’ del tutto inverosimile.

Anche se devo riconoscere che in se per se la trovata di sparare attraverso un foro nel muro mascherato da due appliques è geniale:  tuttavia è in un certo modo una variazione della soluzione di una celebre Camera Chiusa di Carr, The Judas Window , a sua volta variata molti anni dopo Randal Garrett in Too Many Magicians.  Talbot è chiaramente debitore a Carr: crea delle grandi atmosfere, e qui l’atmosfera francamente è la cosa migliore; e crea delle grandi camere, e anche in questo è debitore di Carr: però mentre Carr spiega tutto, e tutto ha una spiegazione razionale, Talbot non riesce a spiegare tutto quello che immette.  Non ha neanche molti sospettabili, come pure nei racconti di Carr: solo che lì per spiegare l’arcano ci vogliono veramente i fiocchi e i controfiocchi. E non si apparenta neanche all’ Howdunnit francese che si basa solo sulla Camera Chiusa e in cui il colpevole è facile pensare chi sia, ma difficile da provare perché lì egli viene individuato solo sulla base della risoluzione della Camera Chiusa su cui si basa tutto lo scritto, che è di per sé quasi sempre un problema spaccacervelli: qui il colpevole si sa chi sia, ma non si prova fino alla soluzione finale, solo che essa latita in chiarezza in alcuni punti, che in pratica non vengono risolti.

Pietro De Palma

Retrospettiva, Bibliografia completa e analisi di un racconto di Craig Rice: Gli spezzasti il cuore (His Heart Could Break, 1943) – trad. Sara Caraffini. In “Delitti Impossibili”, I Bassotti N°125, Polillo Editore, 2012.

$
0
0

All’inizio, quando anni fa la collana i Bassotti apparve sul mercato, confesso che rimasi molte volte perplesso e non del tutto convinto dell’offerta: presentava infatti, in parte, titoli che erano già stati presentati da Mondadori. Purtuttavia dopo, come testimoniano anche le interviste apprestate col dott. Polillo, la mia ammirazione e la stima sono sempre più cresciute e oggi devo dire in tutta onestà che le uniche persone del settore che io vorrei conoscere di persona sarebbero proprio lui, Marco Polillo  e Mauro Boncompagni che già conosco da lontano (che è anche suo amico).

Polillo ha proposto e sta continuando a proporre romanzi di autori spesso sconosciuti, ma il merito maggiore a mio parere sta nel riproporre, in controtendenza, antologie di racconti, genere quello delle brevi storie che non è mai stato capito veramente: basti dire che anni fa, quando Mondadori propose l’integrale di Edmund Crispin, del pacchetto facevano parte anche i racconti, ma, chissà come, allora si decise di non proporli confidando nel fatto che il pubblico italiano non avrebbe decretato il loro successo. Di questi errori è piena la storia del mercato editoriale italiano. Ma Polillo non ha mai voluto fare una politica esclusivamente di profitto, se è vero che di queste antologie ne ha proposte svariate nel corso degli anni.

Oggi presenterò una: Delitti Impossibili. Una serie pressochè impressionante di capolavori del genere short story: Brown, Carr, Commings, Talbot, Godfrey… Beh, io ne sceglierò una di una scrittrice molto famosa al suo tempo, Craig Rice, perché a mio parere, è estremamente interessante per diversi motivi.

Craig Rice fu al tempo uno degli scrittori più importanti del suo tempo: nata a Chicago nel 1908 prima di diventare un nome del panorama della narrativa poliziesca, aveva tentato più strade senza successo. Nel 1939 tuttavia vi riuscì, grazie al personaggio da lei creato più amato, l’avvocato Malone:  il romanzo Eight Faces at Three (Contro la legge) le dette la fama. I successivi romanzi crearono il suo successo che fu tale da permetterle di apparire nella copertina del Times nel 1946, cosa che prima di allora non era mai accaduta per gente impegnata nella narrativa mystery. Tuttavia, raggiunto l’apice del successo, denominata addirittura la Dorothy Parker del racconto poliziesco (a significarne la qualità nei racconti), la caduta fu repentina, tanto che nel 1957, dopo aver sperimentato alcoolismo e vari tentativi di suicidio, oltre a cinque diversi matrimoni, la Craig morì “per cause apparentemente naturali”.

In Italia sono stati pubblicati molti suoi romanzi. Non fidatevi della lista su Wikipedia: di romanzi ve ne sono di più di quelli citati lì! E oltretutto vi sono numerosi errori.

Ecco a seguire una lista il più possibile esaustiva:

Romanzi

8 Faces at 3 (1939; anche “Death at Three” e “Murder Stops the Clock“; John J. Malone) Contro la legge, Il Giallo Mondadori n. 111 (1951)

The Corpse Steps Out (1940; John J. Malone) Il cadavere esce di scena, I Classici del Giallo Mondadori n. 708 (1994)

The Wrong Murder (1940; John J. Malone) Una scommessa da vincere, Il Giallo Mondadori n. 2277 (1992)

The Right Murder (1941; John J. Malone) – Bentornato Malone!, I gialli del secolo n. 146 (1955); ripubblicato come Una scommessa vinta, Il Giallo Mondadori n. 2289 (1992)

Trial by Fury (1941; John J. Malone) – Giustizia sommaria, Il Giallo Mondadori n. 212 (1953)

Telefair (1942; anche Yesterday’s Murder) – Ieri hai ucciso, Casini, 1955; L’isola del destino scomparso, Robin, 2003

The Big Midget Murders (1942; John J. Malone) – Undici calze di seta, Il Giallo Mondadori n. 182, 1952

The Sunday Pigeon Murders (1942; Bingo Riggs and Handsome Kusak) –  A colpi di coltello, Il Giallo Mondadori n. 192 (1955)

The Man Who Slept All Day (1942; pseudonimo Michael Venning; Melville Fairr)

Murder Through the Looking Glass (1943; pseudonimo Michael Venning; Melville Fairr) – Fantasma allo specchio, Casini, 1953

Having a Wonderful Crime (Simon, 1943; John J. Malone) – Lasciate fare a Malone, Casini, 1954

The Thursday Turkey Murders (1943; Bingo Riggs e Handsome Kusak) Il tesoro di giovedì, Il Giallo Mondadori n. 125, 1951

To Catch a Thief (1943; pseudonimo Daphne Sanders)

Home Sweet Homicide (1944) – Giallo in famiglia, Il Giallo Mondadori n. 199, 1952

Crime on My Hands (1944)

Jethro Hammer (1944; pseudonimo Michael Venning; Melville Fairr)

The Lucky Stiff (1945, Malone) – La donna ombra, Il Giallo Mondadori n. 147, 1951; I Classici del Giallo Mondadori n. 1267 (2011)

The Fourth Postman (1948; John J. Malone) – I quattro portalettere, Il Giallo Mondadori n. 115, 1951

Innocent Bystander (1949) – Un complice innocente, Casini, 1955

Mrs. Schultz is Dead (1955)

My Kingdom for a Hearse (1956; John J. Malone) – Il mio regno per un funerale, Casini,1957

Knocked for a Loop (1957; anche come “The Double Frame“; John J. Malone) – Il Buddha di bronzo, Serie gialla Garzanti n. 127 (1958)

The April Robin Murders (1959; completato da Ed McBain; Bingo Riggs and Handsome Kusak; John J. Malone) La casa del morto, Serie gialla Garzanti n. 157 (1959), ripubblicato come I delitti di April Robin, I Classici del Giallo Mondadori n. 487 (1985)

Racconti

The Right Murder” (1942, John J. Malone)

The Big Midget Murders” (1942, John J. Malone)

Hanged Him In the Mornin’ ” (Marzo 1943) anche “His Heart Could Break” (Marzo 1943; John J. Malone) – Il suo cuore si poteva rompere,GEQ N. 2/1950 – Gli spezzasti il cuore,I Bassotti n.125/2012

The Bad Luck Murders” (Luglio 1943; anche “Dead Men’s Shoes“; John J. Malone)

Murder in Chicago” (1945)

Case of the Vanishing Blonde” (1945; con Mark Hope )

Good-Bye, Good-Bye!” (Giugno 1946; John J. Malone) – Goodbye, Goodbye!, GEQ n. 9/1950

Real Crime ( Dicembre 1946 / Gennaio 1947; sebbene nessun autore sia citato, la storia è di Craig Rice:  fonte http://www.philsp.com )

Good-Bye Forever” (Dicembre 1951; John J. Malone) – Addio per sempre, Estate Gialli 1964

Case of the Vanishing Blonde” (1945; con Mark Hope )

Lady’s day at the Morgue” (1952)

Malone is Dead – Long Live Malone” (1952)

And the Birds Still Sing” (Dicembre 1952; John J. Malone) – …E gli uccelli cantano ancora, GEQ N. 40/1953; oppure Malone sa il fatto suo, Estate Gialla 1965

Don’t go near” (1953) – E’ morto un leone, Giallo Selezione n.. 31/1962

The Murder of Mr. Malone” (1953)

Dogs Bites Man” (1953)

Death in the Moonlight” (1953)

Quiet Day in the County Jail” (1953)

The Last Man Alive“(1953)

Murder Marches On!” (1953) –

The Tears of Evil” (Marzo 1953; anche The Name Is Malone, 1958) – Le lacrime del diavolo, Giallo Selez. N. 5/1961

The Dead Mr. Duck” (Agosto 1953; anche The Man Who Swallowed a Horse) – L’uomo che aveva ingoiato un cavallo, “Ellery Queen presenta Estate Gialla 1971”

The End of Fear” (Agosto 1953) – Fine della paura, Giallo Selezione N. 17/1961

Life Can Be Horrible” (Settembre 1953) – Un cadavere ambulante, Giallo Selezione N. 70/1963

The Last Man Alive (Settembre 1953)

Smoke Rings” (anche “Motive“, Settembre 1953)

The Bells Are Ringing” (Novembre 1953, John J. Malone)

“…And Be Merry“(1954) – Il grappolo d’uva , Giallo Selezione 12/1961

The Little Knife That Wasn’t There” (1954; John J. Malone)

I’m a Stranger Here Myself” (Febbraio 1954) – Sono forestiero anch’io, Giallo Selez. n.28/1962

I’ll See You in My Dreams” (Giugno 1954)

Murder in the Family” (Novembre 1954)

Flowers to the Fair” (25 Dicembre, 1954)

The Little Knife That Wasn’t There” (Maggio 1954; anche “Malone and the Missing Weapon“)

The Murdered Magdalen, Ottobre 1955

No Vacancies” (Giugno 1954) – Tutto affittato, Giallo Selezione N. 16/1961

No Motive for Murder” (Luglio 1955) – E’ la base per il romanzo: Knocked for a Loop (1957);

A lost body”  (1955) – Serve un cadavere, Giallo Selez. 35/1962

The Headless Hatbox” (1955)

Mrs. Schultz is Dead” (1955)

Shot in the Dark” (1955) – Omicidio nel bosco, Giallo Selezione N. 36/1962

Beyond the shadow of a dream” (1955) – Oltre l’ombra di un sogno, GEQ n.66/1955

Pink Fluff (  Ottobre 1955; anche “The Frightened Millionaire“, 1956)

Dead Men Spend No Cash (1956)”

The Quiet Life” (1956)

The Air-Tight Alibi“(1956)

No One Answers (1956)

One Last Ride, 1956

The Perfect Couple, 1956

No, Not Like Yesterday” (Novembre 1956)

Sixty Cents’ Worth of Murder “(1957)

Say It With Flowers” (Settembre 1957)

Cheese It, the Corpse! (1957) – Un cadavere troppo nudo,  Giallo Selezione n. 55 del 1963

He Never Went Home” (1958, The Name Is Malone) – Non tornò a casa, Giallo Selezione N. 40/1962

The Green Menace“(1958)

The End of Fear“(1958; The Name Is Malone)

One More Clue” (1958) – Un altro indizio, Giallo Selezione N. 81/1964

The Double Frame” (1958)

The Murder of Mr. Malone” (1958, The Name Is Malone)

The Very Grove Corpse” (Novembre 1958)

They’re Trying to Kill Me” (Febbraio 1959, The Saint Mystery Magazine; John J. Malone)

They’re Trying to Kill Me” (Febbraio 1959)

Wry Highball” (Marzo, 1959)

Hardsell” (1960; John J. Malone) – Il colpevole non paga (Hard sell) Giallo Selezione N. 24/1961

The Butler Who Didn’t Do It” (1960; anche Alfred Hitchcock Presents: 16 Skeletons From My Closet; John J. Malone) – Questa volta non è stato il maggiordomo (The Butler who didn’t do it), Hitchcock presenta: 16 scheletri nel mio armadio

The Fall of The House of Deuteronomy“(1961)

The Case of the Common Gold“(1964)

But the Doctor Died (1967; John J. Malone) – Ma il dottore è morto, Spia contro spia, Longanesi n. 41 (1971).

Oltretutto alcuni racconti figurano anche raccolti in antologie:

The Name is Malone (1958)

People vs. Withers and Malone (1963)

Murder, Mystery and Malone (Crippen & Landru, 2002)

Come si vede, prendendo a comparazione la pagina italiana di Wikipedia, molti sono gli errori e le imprecisioni lì individuate: innanzitutto sono elencate solo le opere con Malone, mentre sono assenti quelle con altri pseudonimi; poi, non solo Mondadori e Polillo hanno pubblicato opere di Rice, ma Casini per esempio; mancano tutta una serie di racconti (non solo vi sono le serie, ma anche racconti spuri); infine compaiono lì anche romanzi non più attribuiti a Craig Rice. E’ il caso di The G-String Murders (1941), che si è riconosciuto essere stato scritto da Gypsy Rose Lee (pseudonimo di Rose Louise Hovick), famosa spogliarellista degli anni Trenta e Quaranta; e del suo sequel Mother Finds a Body (1942), altro romanzo attribuito in un primo tempo a Craig Rice ed ora restituito a Gypsy Rose Lee (tra l’altro il film che venne tratto da tale romanzo andò parecchio bene, meritando pure la nomina all’Oscar per la Miglior Musica).

Non compaiono invece i racconti che Craig Rice confezionò a quattro mani con Stuart Palmer in cui figurano sia John J. Malone sia Hildegarde Withers:

Once Upon a Train” (Ottobre 1950)

Cherchez la Frame” (Giugno 1951) – GEQ N. 22/1951

Autopsy and Eva” (Agosto 1954)

Rift in the Loot” (Aprile 1955)

Withers and Malone, Brain-Stormers” (Marzo 1959)

People vs. Withers and Malone” (1963)

Withers & Malone: Crime Busters” (People vs. Withers and Malone, 1963) – Withers & Malone investigatori, “Ellery Queen presenta Inverno Giallo 1974-75”

polillo_-_delitti_impossibiliQuesti racconti furono poi ripresi, una volta deceduta la scrittrice, da Stuart Palmer, e riuniti in una antologia dal titolo People vs. Withers and Malone (1963).

La curiosità sta a testimoniare la fama raggiunta negli anni quaranta e cinquanta da Craig Rice, con la quale importanti autori collaborarono (sembra quasi una anticipazione delle collaborazioni che a partire dai primi anni sessanta videro assieme uno dei cugini Queen ed una serie di autori, a creare i cosiddetti apocrifi queeniani (che poi apocrifi non lo sono per nulla).

In verità non solo Stuart Palmer associò il suo nominativo a quello della Rice, ma anche Cornell Woolrich, che stravedeva per la Rice, che si assunse l’onere di terminare un romanzo rimasto incompiuto della scrittrice: The April Robin Murders. Il romanzo, in cui operano dei fotografi giramondo Bingo Riggs e Handsome Kusak, doveva essere l’atto finale di una trilogia, di cui fanno parte altri due romanzi: The Sunday Pigeon Murders (1942) e The Thursday Turkey Murders (1943).

Infine The Pickled Poodles è un romanzo apocrifo, scritto da Larry M. Harris nel 1960 sui caratteri originali (Malone & Co.) di Craig Rice.

Il racconto che oggi esaminiamo è il secondo della sua produzione, ed è un racconto con delitto impossibile

John J. Malone è l’avvocato di Paul Palmer, rampollo erede di una considerevole fortuna, finito nel tritacarne della giustizia: dedito alle sbronze e al non fare nulla, il fatto di essere stato trovato ubriaco fradicio e non cosciente accanto allo zio morto assassinato, lo ha fatto condannare a morte da una giuria composta di giurati astemi e padri onesti di famiglia, contenti di farla pagare ad uno che non ha mai fatto nulla nella vita eppure è ricco sfondato.

Paul, fidanzato con Madeleine Starr, quella che si chiamerebbe ora Topo Model, mannequin allora, si era trovato in Malone il suo avvocato e quello aveva giurato che lo avrebbe tirato fuori di lì: era sicuro che lui non fosse l’assassino di suo zio e per sospendere l’esecuzione era riuscito a scovare degli scheletri nell’armadio del giudice che gli aveva concesso una proroga di indagine e aveva sospeso l’esecuzione. Quindi Palmer si può considerare a ragione che fosse al settimo cielo: e allora perché si era impiccato in cella?

Malone diretto al carcere, viene a sapere che Palmer si è impiccato in una cella dove nessuno poteva entrare, con una corda che nessuno avrebbe potuto introdurre, e per giunta aveva ricevuto la visita di un uomo del boss delle scommesse cittadino che gli aveva fatto pervenire una lettera: quale carcere mai poteva essere quello in cui c’erano state diverse evasioni, un uomo si era impiccato in condizioni impossibili con una corda fatta arrivare in maniera impossibile senza che nessuno sapesse nulla, e dove persino un boss delle scommesse poteva arrivare senza che nessuno filtrasse la sua visita?

Malone è infuriato, tanto più che in quel carcere lavora come medico del carcere proprio lo zio della fidanzata di Paul.

Decide di svolgere delle indagini per guadagnarsi i 5000 dollari ricevuti come ingaggio e scoprire chi abbia ucciso il suo cliente. E così, tassello dopo tassello, dopo una visita a Max Hook boss delle scommesse, che non può essere connesso con l’omicidio perché ha fama di non aver mai fatto uccidere nessuno, dopo aver conversato col direttore del carcere prima e col medico dopo, dopo aver ricevuto la lettera dalle mani di un secondino voglioso di fare carriera grazie alle conoscenze dell’avvocato, viene a sapere che il suo cliente la sera prima era stato contattato dalla fidanzata che era in brutte acque per un giro di scommesse: indebitata,  di modeste condizioni ma attratta dal lusso, si era data al gioco, rimanendone vittima. Il fidanzato aveva giurato di aiutarla una vota uscito di galera: e quindi ancora una volta perché uccidersi?

Malone parla anche con la donna fatale: tale Lillian Claire che si era fatta dare una bella sommetta di denaro da Palmer per non rivelare certi particolari piccanti della loro relazione che avrebbero potuto rendere difficile l’unione tra Palmer e la Starr. Insomma una donna pericolosa anche e soprattutto perché bellissima: la donna al processo aveva giurato che la notte dell’omicidio Palmer era andato da lei per cercare di riavere parte dei soldi versatile, ma poi dopo una discussione lei lo aveva messo in taxi, mezzo sbronzo, e mandato a casa; mentre Malone viene a sapere che non era andata proprio così: infatti Palmer aveva trascorso una notte di sesso con la ex, pur mezzo sbronzo, e quindi all’ora in cui era stato ucciso il vecchio lui sarebbe stato altrove. Purtuttavia la donna non aveva rivelato l’alibi dell’ex per non avere rogne e così lui era stato condannato alla sedia elettrica.

Malone capisce di trovarsi in un covo di serpi: una donna che stava usando il suo cliente, una che l’aveva usato, uno zio della fidanzata sensibile alla corruzione, un direttore del carcere negligente, e un assassino allo stato libero: probabilmente l’assassino dello zio era anche coinvolto in quello del nipote. E sullo sfondo una vecchia ballata di cui mano le strofe scandiscono il ritmo della storia: Malone è come se avesse il presentimento che proprio quella ballata potrebbe fornirgli la soluzione del problema. In punto di morte Palmer aveva sussurrato “non voleva spezzarsi”. La ballata parlava di un cuore che si era spezzato, quando qualcuno era morto impiccato per ciò che era stato fatto da un altro. Sembra quasi quello che era accaduto a Palmer. Poi casualmente qualcuno rivela a Malone come la ballata finisca, e Malone ha il guizzo che gli consente di far luce nella vicenda: così scopre come l’assassino anzi gli assassini abbiano operato. E riabilitando la memoria del cliente, guadagna lealmente i 5000 dollari promessigli.

Diciamo subito che trovare l’assassino o gli assassini non è la cosa difficile, semmai è difficile capire come l’assassinio sia stato attuato. E a cosa voleva alludere Palmer in punto di morte quando aveva parlato di non voleva spezzarsi: il cuore, come suggeriva la ballata, o..qualcos’altro?

Interessantissimo è il racconto, scritto con una penna leggera e nel tempo stesso brillante: la ballata con le sue strofe detta il ritmo, e lo stesso racconto è come una vecchia ballata. E’ melanconico perché parla di qualcuno che è morto accusato ingiustamente, ma nel tempo stesso non è lugubre, e a renderlo pimpante è proprio l’avvocato Malone, un marpione che la sa lunga e che usa espedienti non del tutto corretti per raggiungere i suoi fini: tra un ricattino ad un giudice, una pomiciatina con una delle indiziate, una che non disdegna di darsi, tra whisky doppi e fumate di sigari, Malone insegue il filo dei suoi pensieri che è legato al testo di una ballata che lo ossessiona e che ad un certo punto lo metterà nelle condizioni di risolvere l’enigma.

Il racconto è interessante direi per due motivi soprattutto: innanzitutto dal punto di vista stilistico, in quanto tutta l’opera della scrittrice fa parte di quel filone cui appartennero altri romanzieri tra cui Jonathan Latimer, Howard Brown, e anche il tardo Stuart Palmer che si situa a metà tra il Mystery e l’Hard-Boiled: questo dona quella freschezza che tanto si sente leggendo la Rice. I luoghi comuni del Noir non sono tutti elencati ma qua e là compaiono: il gangster, la santa, la “donna di facili costumi” che tutti evitano ma che poi tutti vorrebbero trattare magari in privato, ambienti fumosi e whisky a volontà; e insieme un problema del delitto impossibile che non è affatto male: come ha fatto in una cella supersorvegliata, tanto più che è quella del fidanzato della nipote del medico del carcere, a entrare una corda, e come ha fatto un uomo a morire impiccato, un uomo che non aveva nessun motivo per impiccarsi? Il problema, che ne presuppone un altro ancora più stuzzicante (come ha fatto qualcuno non visto ad uccidere un condannato a morte senza che questi gridasse o si opponesse nella cella del braccio della morte), ha una soluzione alternativa estremamente interessante, in quanto con essa Craig Rice aggira il problema: in sostanza agisce con la componente psicologica.

Quello che poi affascina del racconto è proprio il come più del chi: è maggiormente la componente dell’ Howdunnit a far presa più che quella del Whodunnit, perché a ben vedere l’assassino è facile da individuare se si tiene bene a mente il “cui prodest”.

Insomma un racconto ed una scrittrice da rivalutare e da rileggere.

Pietro De Palma

Craig Rice: Lasciate fare a Malone (Having Wonderful Crime, 1943) – trad. Antonia Bullotta – I Gialli del Secolo Casini, N° 120 del 4 luglio 1954

$
0
0

Mi sembrava evidente, dopo il lungo articolo con bibliografia ragionata, che almeno un romanzo venisse preso in esame di Craig Rice, tant’è che un racconto, come quello presentato, non può rassumerne i caratteri più tipici come può fare invece un romanzo.

E’ il caso allora di “Lasciate fare a Malone” titolo inventato di sana pianta da Casini, per Having Wonderful Crime, sulla base che Malone, che dei tre soggetti ricorrenti è quello più in vista, anche qui è determinante per la soluzione, o meglio è determinante per come la soluzione venga accettata, giacchè tutti e tre, Jake Justus, sua moglie Helene Justus, e l’amico di Jake, John J. Malone, indovinano degli sviluppi, che poi saranno deterrminanti per inchiodare l’assassino.

Il romanzo, è del 1943, ma se si dovesse prestare fede a Wikipedia, non dovrebbe esistere in quanto tradotto in Italia: ecco per quale motivo, chi volesse sistematicamente conoscere l’opera della scrittrice statunitense, dovrebbe fare riferimento al mio articolo guida pubnblicato in questo blog:

http://lamortesaleggere.blogspot.it/2017/05/craig-rice-gli-spezzasti-il-cuore-his.html

E’ un romanzo che mischia sapientemente azione e deduzione, caratteristica anche per certi versi di altri romanzieri, come per esempio Jonathan Latimer.

Si apre con un certo Dennis Morrison, fresco sposo di Bertha Lutts, che si sveglia non nel suo letto, ma in quello di altri. E ridestatosi, si trova davanti la più bella bionda che abbia mai visto (Heleen Justus). Poi un tipo massiccio, con capelli rossi e lentigginoso, Hake Justus, e infine, abbandonato in un divano, un tipo che russa sonoramente, l’avvocato penalista John J. Malone. I tre lo hanno raccattato in un locale, dopo che era statto anche menato, ubriaco fradicio. Improvvisamente Morriso si ricorda della moglie, che ha lasciato il pomeriggio prima nella loro camera di hotel, per andare a bere qualcosa. La cosa non si spiega bene inizialmente e trova giustificazione solo nel prosieguo della storia: Morrison è un gigolo, un accompagnatore che offre bella prestanza e all’occorrenza performances sessuali quando richiesto dalle signore che deve accompagnare e ehe richiedono i suoi servigi. Una di queste, la ricchissima Bertha Lutts, sfortunatissima con gli uomini, ha pensato bene di cessare di apparire  come la zitella ricca, preferendo la parte della divorziata con esperienze: pertanto ha deciso di sposare il bel gigolo, contro il parere del suo tutore, che peraltro avrebbe voluto ritardare il più possibile tale eventualità avendo disposto in maniera del tutto personale del ricco lascito previsto per Bertha. Tuttavia dopo averlo sposato, siccome non lo ha sposato per amore ma per convenienza, è timorosa se andare a letto con lui o no.

Fatto sta che quando Morrison torna nella sua stanza d’albergo, trova la moglie morta. Ancora di più: la trova decapitata. E’ evidente il suo senso di sbandamento. Per di più i tre si arrogano il diritto di difenderlo, giacchè è evidente che il principale sospettato è lui. Ricostruiscono il suo percorso errabondo per locali, per giungere ad evidenziare come non si possa proprio puntare il dito accusatore solo verso di lui. Tanto più che nessuno, pur uccidendo, decapiterebbe la sua vittima, sempre che non fosse un pazzo squilibrato. Il fatto è però che di sangue se ne trova poco, e la dissezione è stata fatta, come testimonia il medico della polizia, in maniera perfetta, come neanche avrebbe fatto un boia o una ghigliottina. E sicuramente Morrison non la conoscenze adeguate per aver fatto uan cosa dele genere.

I tre quindi cominciano ad investigare, tanto più che Arner Proudfoot, l’ex tutore di Bertha ha assunto Malone per ritrovarla, anzi per ritrovarne la testa. Infatti è accaduto, cosa stranissima e assolutamente fuori della comprensibilità, che l’assassino, per ragioni solo proprie, non solo ha ucciso Bertha, non solo l’ha decapitata, ma ha anche messo sul corpo di Bertha  la testa di un’altra donna, che ha a sua volta decapitato. Quindi si deve trovare non solo l’assassino responsabile dell’orribile duplice omicidio, ma anche bisogna dare un nome all’altra vittima.

Le indagini danno i suoi frutti: dopo aver tolto ciglia finta e aver riportato i capelli alla tinta originaria, si riconosce in quella, la testa di tale Gloria Garden, modella anche piuttosto avviata. La testa viene riconosciuta dal vecchio padre, il dottor William Puckett, distrutto dal dolore.

Intanto tra gli appunti trovati accanto al corpo di Bertha Lutts, si trovano anche quelli di tale Wildavine Williams, che sembrano profferire minacce di morte nei confronti della vittima. Mentre Jake sta controllando tutto nella camera d’albergo, sente dei passi, fa in tempo a ficcarsi nella vasca da bagno protetto dallatendina della doccia, ed evitare che tre poliziotti lo becchino, salvo poi tirare un destro ad uno ed scappare quando viene scoperto. Si reca da tale Wildavine e scopre che quella è una poetessa, male in arnese, amica della morta, a cui leggeva l poesie nella speranza che qualcuna venisse da lei sovvenzionata e poi pubblicata. Solo che viene beccato dalla polizia, che ha raggiunto le sue stesse convinzioni, e tratto in arresto.

Intanto la moglie sta seguendo un’altra pista: fingendosi una cliente in cerca di follie notturne, comincia a frequentare le varie agenzie di accompagnatori, finchè trova quella giusta: il suo accompagnatore Harris Lawrence, cade nella sua trappola di fingersi una ricca svampita in cerca di emozioni, e la sottopone allo stesso trattamento, riservato a tante altre: finge una retata della polizia, e poi con la complicità di chi debba atteggiarsi a suo salvatore, cerca di spillarle dei soldi. Il fine di Helene è quello di trovare il ricettatore che ha incassato gli stessi gioielli, scomparsi a Bertha, dalla camera d’albergo. Solo che il ricettatore, accusato come Lawrence e il suo compare dell’omicidio di Bertha, non solo come gli altri si protesta innocente, ma anche sostiene che a pignorare da lui i gioelli fosse stata una ragazza, che poi viene riconosciuta essere la Garden.

Il mistero si infittisce.

Dopo certe supposizioni, rivelatesi alcune giuste altre errate,  Jake viene a sapere che la sera della tragedia, chiamata da Bertha, era salito un medico, di cui nessuno aveva parlato. Da quel momento in poi gli eventi diventano frenetici, fino a concludersi il tutto in una proprietà fuori mano, dove si incontrano due persdone fuori di mente: il primo ha ammazzato due donne, il secondo ne ha tagliato le teste, invertendole, per uno scopo ben preciso, che ha a che fare con l’eredità, e con la morte presunta. L’assassino non è Henry Lawrence, che poi si chiama Howie Lutts ed è la pecora nera della famiglia di Bertha, ma…

Siccome chi ha scambiato le teste, delle due donne precedentemente uccise, ha agito follemente per vendetta, in un doppio finale, viene attribuito il tutto all’assassino vero, in modo da non far condannare lo scambiatore di teste.

Romanzo, lo devo dire in tutta franchezza, sensazionale. Uno di quei romanzi che non si dimenticano.

La trovata dello scambio di teste non è campato in aria ma ha delle motivazioni ben precise, che si capiscono solo nel palpitante finale.

Come tutti i romanzi di Craig Rice, è alquanto bizzarro, ma proprio nella sua stranezza ha i suoi punti forza: l’assassino non ha scambiato le teste, ma l’ha fatto qualcun altro, per scombinare i piani dell’assassino e per fargliela pagare; questa modalità, che è alquanto singolare (la decapitazione ricorre in pochi romanzi, e quasi sempre dei Maestri: Ellery Queen, Ngaio Marsh, Christianna Brand…), collega questo, ad un altro romanzo di qualche anno precedente: Il Mistero delle Croci Egizie (The Egyptian Cross Mystery, 1932). La cosa non è casuale nè campata in aria: per sua stessa ammissione, Ellery Queen era l’autore preferito di Craig Rice. Nonostante ciò la Rice non è Vandiniana, semmai è Elleryana: infatti in entrambi gli autori, la complessità del plot e dei subplot, costituisce la caratteristica saliente dei romanzi. Peraltro la concatenazione dei due romanzi, è anche in ragione del fatto che il secondo omicidio è richiamato dal primo e viceversa: tuttavia mentre nel romanzo di Queen, la decapitazione è funzionale alla non assoluta riconoscibilità dei cadaveri, qui dei cadaveri  si conosce l’identità, ma la ragione consiste in un movente psicologico molto difficile da afferrare all’inizio: ritardare il più possibile il conseguimento del fine alla base del movente del duplice omicidio. Inoltre il tema della decapitazione dei cadaveri, ricorre anche in altra storia di Rice (un po’ come è avvenuto nell’opera di Christianna Brand): My Kingdom for a Hearse. Solo che qui l’amputazione anatomica è portata al massimo.

Inoltre anche in questo romanzo, un tema come quello del matrimonio di cui nessuno sapeva nulla, trova piena applicazione.


Pietro De Palma


Qualche rigo in ricordo di Sergio Altieri

$
0
0

Non ho mai conosciuto Altieri, di persona intendo. E come gusti letterari eravamo molto distanti.

Avevo letto anni fa la trilogia Magdeburg, un po’ per volerlo conoscere – perchè non mi va di criticare solo perchè lo fanno gli altri – e francamente non mi era piaciuta. Sarà che oramai il mondo medievale lo accetto solo o in saggistica – che deve essere rigorosamente documentata – o in romanzi polizieschi storici, in cui però la lotta, gli intrighi, il costume devono passare in second’ordine o comunque muoversi sullo sfondo del delitto, la visione apocalittica molto nera di Altieri non mi era piaciuta. Punti di vista, certo. Però era un grande scrittore, e questo è innegabile. Direi il più grande scrittore italiano del genere, al limite tra fantasy-fantascienza-poliziesco noir, assieme a Stefano Di Marino.L’ho criticato anche piuttosto diffusamente anni fa, ma l’ho sempre ammirato: almeno era uno “con le palle”.

Ieri per caso un’amica, ritrovata dopo anni di indifferenza, Giuseppina La Ciura, una grande lettrice di romanzi polizieschi che una volta traduceva anche, mi scrive e tra le altre cose mi dice “Come saprai(tu sai tutto),è morto Sergio Altieri”.

Non sapevo nulla.

Possibile mi son detto? Vado a vedere. Sì era morto di notte per un malore. Brutto modo di morire, da solo, disperato. Sembra quasi che la sua morte abbia incarnato quello per cui era diventato famoso in Italia: il noir estremo, disperato. Non mi sono unito agli altri che lo piangevano su FB. Ho pensato subito invece di scrivere io qualcosa, per ricordarlo dal mio punto di vista.

La prima volta che ne sentii parlare, fu da Igor Longo. Non mi ricordo il tempo, ma credo che fosse il 2006. C’era stata una riunione di redazione – a quel tempo la redazione dei Gialli c’era, non ora che si dice che esiste e non c’è invece, perchè a differenza di oggi, si doveva discutere di copertine, di romanzi, c’era chi scriveva il taglio di introduzione al romanzo in copertina, perchè di romanzi ce n’erano sei o otto che uscivano non ricordo, non due come oggi, più l’apocrifo – e mi ricordo benissimo che Igor mi scrisse e mi raccontò com’era andata: si era presentato e aveva cominciato ad esporre la sua linea editoriale, e aveva rinforzato il tutto con espressioni americane. Igor era molto eccitato, me lo ricordo: da come Altieri aveva esposto il programma, il Giallo avrebbe incontrato un boom: ne parlava come un nuovo Messia. E io in quell’occasione gli dissi chiaramente che secondo me una rivoluzione – quella che lui voleva attuare – avrebbe portato più danni che altro, perchè il bacino lettori dei Gialli Mondadori da sempre è stato un pubblico piuttosto conservatore in quanto a gusti, e come tale le novità sarebbero dovute essere apportate con tatto, non forzatamente.

Ma è anche vero che Igor vedeva in lui una stagione nuova, perchè lo aveva già incontrato, anni prima, durante una presentazione. Altieri da quello che lessi, non doveva essere molto ben addentrato nel genere di letteratura che perorava Igor (e il sottoscritto ovviamente), però l’intervento di Igor era stato molto ben accettato. Perchè Altieri era democratico. E anche perchè era curioso. Voleva conoscere quello che non conosceva. In quello eravamo simili.

Quello che poi accade col tempo mi dette ragione, ma è altrettato indubbio che Altieri aveva dalla sua una grande forza editoriale: era scrittore, era famoso, era stato sceneggiatore. Essere per lui editor era una nuova esperienza, ma non è che ne avesse bisogno per essere famoso: lo era di già. Per cui le sue scelte erano sempre autoritarie. Solo che l’autoritarietà non era un mezzo imposto con la forza, ma discendeva dal suo stesso essere carismatico: si accettava le sue volontà perchè era Altieri. E molti avevano fiducia in lui.

Debbo riconoscere – ma l’ho sempre detto altrove e anche nei miei blog – però che la sua visionarietà, il suo volere forzare la monotonia della situazione, il suo vento di rivoluzione, se ebbe risultati disastrosi sulle vendite – due collane da lui varate finirono nella polvere e tutti i romanzi acquistati all’epoca finirono per essere rtiversati sul Giallo Mondadori snaturandolo – peraltro ebbe risultati straordinari per quanto riguardava la volontà di apparire tramite i nuovi mezzi tecnologici su internet, di varare una piattaforma in cui il Giallo fosse visibile finalmente, con spazi in cui i lettosi si confrontassero e così facendo anche facessero pubblicità alle testate. 

Nacque così il Blog del Giallo Mondadori, che fu una invenzione di Altieri. 

Eppure, io che mi aspettavo di leggere qualcosa, proprio sul Blog del Giallo, ieri, su Altieri non ho trovato nulla: è diventato veramente un camposanto quel blog! Sapete dove è stato postato il ricordo? Sul Blog di Segretissimo:tra gli altri mi è piaciuto molto il post di Stefano Di Marino. Un altro che mi piacerebbe conoscere.

Eppure un tempo non lo era: come non ricordare quando nel giugno 2008, quando per la prima volta la piattaforma divenne visibile, la volontà di confrontarsi, di parlare (e sparlare) ma sempre e comunque avendo nel cuore le pubblicazioni del grande Arnoldo, mai dimenticato fondatore. Mi ricordo quando cominciammo a confrontarci, con post di fuoco, noi, quelli che peroravano il mystery e loro, quelli che volevano un sempre più presente poliziesco al’italiana e noir: soprattutto da una parte Io che divenni il portabandiera del gruppo (tutta gente incazzata: Giuseppina, Alberto detto Killer mantovano, e altri, tra cui anche Fabio Lotti, che però cercava di mediare, appoggiandomi però) e dall’altra Stefano Di Marino (Il Professionista) e un’altra serie di tipi tra cui un Kurt Dehn che non so ancora chi fosse (pensai finanche Altieri). C’era anche uno che si faceva chiamare Quiller (Killer?) e che io per un certo tempo pensai pure che fosse Igor (ma a torto).

Ce ne davamo di santa ragione e ci divertivamo. Io pungevo e poi mi ritraevo. Mi ricordo una volta che misi una serie di punti esclamativi. E quelli, Di Marino a dirne di tutti i colori, perchè li stavo prendendo per il c… Io facevo l’offeso, facevo finta di scendere dalle nuvole, ma in realtà gongolavo. Perchè si accendeva un altro fuoco. E dai altri a menare benzina! Che tempi! Tutti volevamo dare il nostro contributo perchè il Giallo fosse sghettizzato in Italia e diventasse qualcosa di importante. Poi col tempo io mi sono moderato: io che gli hard boiled li usavo come tirassegno per le freccette un altro e poco, ora li leggo. Fu proprio quell’arena a darmi la forza di farlo. Perchè non mi andava di lanciare pietre contro Di Marino e contro Altieri  senza aver letto qualcosa di loro, capire perchè si comportassero in quel modo. Così poi ho letto Altieri, ho letto Di Marino, ho letto Nerozzi. Mi ricordo quelli che cercavano di mediare (Lotti che non sento neanche più, peccato! E che un tempo stavano sul Blog), e quelli che stavano nel mezzo, “i democristiani” del blog: Luca Conti (che democristiano non lo è stato mai!) per esempio, che da una posizione vicino a Di Marino, si spostò sempre più al centro, allontanandosi atarassicamente dalla lotta.

Quelli erano i tempi di Altieri.

Io non l’ho mai conosciuto personalmente, ma i rapporti – mediati da Dario Geraci – erano rispettosi l’uno nei confronti dell’altro. Pur sapendo che avversavo la sua linea editoriale, MAI dico MAI Sergio Altieri per partito preso mi rigettò gli articoli che scrivevo , articoli “di critica”, su grandi autori, che dovevano rappresentare un motivo di riflessione, di critica buona. Non è un caso che da allora, io non abbia più scritto collaborazioni per il Giallo Mondadori (salvo qualcosa all’inizio di Forte).

Era una persona democratica, che rispettava l’avversario quando anche non ne accettava i presupposti.

Per questo lo rispettavo.

Non ti ho mai conosciuto personalmente Sergio. Non ci siano mai neanche contattati telefonicamente o per iscritto. Ma un ricordo per come ti ho conosciuto ho voluto comunque scriverlo. Perchè nel bene o nel male hai rappresentato comunque un trascorso per alcuni di noi.

Mi dispiace che tu sia morto.

Ma mi dispiace ancor di più che tu sia morto da solo, senza nessuno vicino.

Spero solo che tu non abbia capito che stavi morendo.

Una morte così non l’augurerei a nessuno, neanche al peggior nemico.

E tu non lo eri certamente. 


P. De Palma

P.S.

Un articolo bellissimo, un commiato, è quello a firma  Roberto Casalini sul sito WIRED :

 https://www.wired.it/attualita/media/2017/06/17/mio-amico-alan-d-altieri/



Ian Morson – La crociata di Falconer (Falconer’s Crusade, 1994) – trad. Angelo Petrella – Il Giallo Mondadori N.3156 del Giugno 2017

$
0
0

Devo ammettere che Ian Morson non lo conoscevo. E pertanto avevo chiesto delucidazioni a Martin Edwards, scrittore britannico molto famoso, che tra l’altro l’anno scorso ha vinto l’Edgar per un saggio critico sulla Golden Age e il Detection Club, in quanto Mauro Boncompagni mi aveva detto che gli aveva detti tempo fa, di avere letto un romanzo di Morson.

La risposta di Edwards non s’è fatta attendere:

“HI Pietro
I read one of Ian Morson’s early books set in Oxford a very long time ago. Yes, probably in the same vein as Paul Doherty.
More recently he has written books with a Golden Age setting, but I’ve not read any of those.
All good wishes
Martin”

Ian Morson, vivente, è nato a Derby nel 1947. Ha studiato lingua e letteratura russa a Oxford. Ha anche suonato e diretto gruppi di musica folk, prima di cominciare a lavorare come assistente bibliotecario, diventando poi Bibliotecario in Librerie Pubbliche. Ha cominciato a pubblicare romanzi nel 1994, dopo aver pubblicato articoli e racconti. Il suo primo romanzo è stato il romanzo che presento oggi, Falconer’s Crusade, che ha dato inizio ad una fortunatissima serie, ancor oggi in essere. Vive ad Hastings.

Falconer’s Crusade, La crociata di Falconer (finalmente un romanzo il cui titolo italiano è l’esatta traduzione di quello inglese), vede agire il Maestro di Logica aristotelica dell’Università di Oxford, William Falconer, sullo sfondo di vicende nella seconda metà del XIII secolo.

Il romanzo si apre con un delitto, quello di una ragazza, Margaret Gebetz, che affrontata nella nebbia da un ignoto assalitore, è quasi decapitata da un preciso fendente di spata, davanti. Subito dopo l’azione si sposta nel sotterraneo di una casa, dove un individuo ha appena fatto a pezzi un cadavere in decomposizione, in attesa di buttare il sacco dove ha gettato i miseri resti, laddove l’odore pestilenziale non attragga sguardi indiscreti.

Trovandosi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, Thomas, un giovane contadino che ha destato l’interessamento di qualcuno più ricco, per le sue capacità, mandato a Oxford per studiare, va quasi a sbattere nel cadavere ancora caldo della giovane, e viene notato da passanti che lo identificano come l’assassino della ragazza. Il giovane, che si vede perduto, è tuttavia salvato dall’arrivo di uno dei Maestri Reggenti di Oxford, William Falconer, docente di Logica aristotelica, il quale lo mette in salvo prima e poi ne fa il suo assistente.

Falconer è attratto dall’omicidio della giovane, perché non sembra vittima di un aggressore occasionale, che l’avrebbe affrontata da dietro e sgozzata con un taglio orizzontale della gola, ma di uno con cui evidentemente si era incontrata apposta, visto che l’orrendo squarcio della gola è di traverso. E’ ancor più attratto perché ben presto capisce che l’omicidio, benchè parecchi in città vogliono che sia attribuito agli iscritti dell’università (i rapporti tra i cittadini e l’università sono molto critici), è un omicidio diverso, probabilmente premeditato, e legato ad un misterioso libro, cercato disperatamente dall’assassino.

Thomas Symon, che raccoglie le confidenze del suo Maestro, vorrebbe mettersi in luce scoprendo lui magari qualcosa, ma quello che sa fare è cacciarsi nei guai: prima si perde nel quartiere ebraico (dove viene salvato dall’ erborista ebreo Samson e da sua figlia Hannah), poi finirà quasi per essere ucciso dall’ebreo Yoshua, fedelissimo del padre di Hannah, che avendo subdorato la nascita di un sentimento tra Thomas e Hannah vuole proteggerla dal giovane. In realtà sarà proprio Hannah, a raccontargli che la ragazza uccisa le aveva confidato che finchè era in possesso di un libro, la sua vita non sarebbe stata in pericolo. Ma perché?

Hannah gli consegna il libro perché lui lo dia a Falconer, ma Thomas invece di darlo al suo mentore, se lo fa portar via da Bonham, altro reggente a Oxford.

Da allora comincia la caccia al libro.

Ma non sono i soli ad interessarvisi. C’è anche l’allievo Moulcom che pur di guadagnare soldi compie ogni tipo di misfatto: egli è al servizio dell’assassino, che gli ha intimato di trovare il libro. Al primo sbaglio del giovane, arriva anche per lui la morte: strangolato. Più in questo che nel precedente, agli occhi delle autorità appare chiaro che l’assassinio non possa essere stato compiuto nel corso di una rivolta, tanto più che gli abiti del giovane erano semi asciutti, in un giorno in cui aveva piovuto molto e le strade erano zuppe di pioggia e fango.

A questo secondo omicidio, farà seguito un terzo, di un altro reggente dell’università, il sodomita Fyssh, che s’intrattiene con i ragazzi, tra cui un allievo di Falconer. Qui l’assassinio viene causato dal tentativo di John Fyssh , che ha sottratto il libro misterioso a Bonham, di ricattare l’omicida che pur di ritornare in possesso di esso, non esita ancora una volta ad uccidere, e questa volta poco ci manca che Falconer assista all’omicidio. Tuttavia non riesce a riconoscerlo perché è cieco come una talpa. A questo ovvia in seguito il padre di Hannah e suo amico, che gli dona dei rudimentali occhiali.

Intanto la serie degli omicidi si snoda avendo sullo sfondo le lotte dei baroni contro il re Enrico III, figlio di Giovanni Senza Terra che è stato costretto per la prima volta a riconoscere il potere dei feudatari e l’istituzione di un piccolo parlamento. Enrico III continua la lotta del padre contro i baroni, e l’anno in cui avvengono i fatti di Falconer è il 1264 in cui Enrico, supportato dal figlio Edoardo, ritratterà gli Accordi di Westminster. Tuttavia le vicende si snodano prima che la lotta arrivi al suo culmine, quando ancora Simone de Montfort, conte di Leicester, non sa se prendere le armi contro il re e suo figlio. Infatti l’università, nella persona di Thomas de Cantilupe, rettore di Oxford, cercherà di conquistare una posizione di prestigio, ospitando il principe Edoardo e le sue truppe, offrendogli un regale banchetto, ed in seguito mediando tra lo stesso e Simone de Montfort.

Falconer riuscirà a comprendere la logica dietro gli assassini, dal momento in cui perverrà in possesso del frontespizio e delle prime pagine del libro, strette in una delle mani di Fyssh, che ha cercato di resistere all’aggressione dell’omicida. E dovrà fare presto, perché nel frattempo, per tacitare le acque che rischiano con gli omicidi di agitarsi proprio quando c’è la contesa tra re e baroni, Cantilupe, su richiesta di Montfort, ha incaricato un altro maestro di Oxford ,Robert de Stepyng, che durante il banchetto ha inaspettatamente dichiarato il proprio appoggio alla posizione dei baroni, di attribuire il triplice omicidio agli ebrei, consueto capro espiatorio, anche al fine di appropriarsi dei loro beni.

Margaret prima di morire aveva fatto riferimento alla persona che temeva con l’epiteto bonhomme, da cui Falconer aveva ricavato trattarsi probabilmente di Bonham. Ma quando penetrano lui e Thomas in casa di Bonham al fine di trovare il libro che lui aveva sottratto al giovane, trovano solo, nel seminterrato, in mezzo ad un fetore indescrivibile, un cadavere in decomposizione, macellato quasi, con organi separati dal corpo e carne e nervi esposti: è quello di Moulcom. I vari coltelli di forma diversa una dalle altre, sono riconosciuti come gli strumenti per una dissezione anatomica. In sostanza Bonham ha letto il trattato dell’arabo Avicenna e per confermare le sue affermazioni, si procura cadaveri allo scopo di  sezionarli ed imparare di più sull’anatomia umana. Non è lui l’omicida. Il termine Bonhomme solo alla fine verrà ricondotto ad un significato diverso, che si incastrerà anche con il significato del valore del libro, una bibbia un po’ particolare.

E Falconer eviterà, anche con l’aiuto di una delle guardie della città, l’amico Peter Bullock, che l’assassino possa commettere il quarto omicidio, addirittura uccidendo Simone V di Montfort che è in attesa di incontrarsi con Edoardo.

Il romanzo, veramente splendido, è un intreccio mirabile di indizi, intrighi, delitti, mistero, e storia, sullo sfondo dello scontro tra i baroni ribelli capitanati dal Conte di Leicester, Simone V di Montfort – figlio di quel Simone IV che aveva comandato la Crociata contro gli Albigesi – ed Edoardo, figlio di Enrico III, e lo stesso Enrico. Le vicende narrate, immagino che siano antecedenti alla battaglia di Lewes, e quindi si collochino temporalmente prima del maggio 1264, quando in seguito alla confitta sul campo, sia Enrico III , che suo fratello Riccardo duca di Cornovaglia, sia il principe Edoardo, furono imprigionati dai baroni.

Mai prendere in esame i commenti  di gente che non legge i romanzi fino in fondo, e si permette sul Blog Mondadori, di affondare con giudizi fuorvianti, un romanzo, invece assolutamente fenomenale. Poi ognuno ha il diritto di criticare quanto vuole, però sempre  avendo letto effettivamente il libro.

Lo stile di Morson, pieno  di riferimenti alle lotte interne ed esterne all’università di Oxford al tempo, è molto difficile, tanto più che all’inizio lo stile, non essendo sufficientemente arioso e brillante, come quello dei romanzi di Doherty, ma invece, teso e plumbeo, rende la lettura alquanto difficoltosa, tanto più che la base del plot è quantomai difficile da individuare. Ma man mano che si legge e la storia progredisce, aumenta in maniera spasmodico quasi il voler arrivare a capire il tutto e quindi a finire il libro.

Stilisticamente, il romanzo privilegia alla scrittura narrativa basata su un unico discorso, quello frazionato, con vari personaggi seguiti come da una virtuale telecamera, nelle loro azioni, finchè il loro operato non verrà spiegato nel convulso finale. E’ un procedimento seguito svariate volte, da vari autori, e che ha evidentemente lo scopo di aumentare la tensione, interrompendo un discorso e riprendendolo poco alla volta.

Per di più il mystery, non raggiunge l’identità dell’assassino all’ultima pagina, ma qualche pagina prima, trasformandosi nell’ultimissima fase, in un vero e proprio thriller, partecipando il lettore al tentativo di impedire che l’omicida, il “bonhomme”, uccida Simone V di Montfort, e non per motivi legati all’opposizione al re.

Detto tra noi, se lo avesse ucciso, avrebbe risparmiato all’Inghilterra vari eventi luttuosi, e soprattutto avrebbe evitato che il figlio di Riccardo di Cornovaglia, l’innocente Enrico, ricordato da Dante, venisse ucciso nella Chiesa di San Silvestro a Viterbo, dai figli di Simone V.

Concluso dicendo che per l’esposizione e l’atmosfera mirabili, ed il plot veramente spattacolare, non vedo l’ora e anzi spero che in un futuro si leggano altre avventure di Falconer, unica delle poche volte in cui rendo merito a Forte di aver proposto un romanzo.

Pietro De Palma

Pierre Boileau – Thomas Narcejac : Sans Atout e l’uomo con la daga (Sans Atout contre l’homme à la dague, 1971) – trad. Gilda Piersanti – Il Giallo per ragazzi, N.10, Mondadori, 1990

$
0
0

Taluni sapranno di quell’eccezionale infornata di romanzi per ragazzi, Il Giallo dei ragazzi, che negli anni ’70 e ‘80 , Mondadori pubblicò : erano in sostanza volumi di Nancy Drew (romanzi degli anni ’30 firmati Carolyn Keene, pseudonimo sotto il quale si celavano vari autori, primo fra ttutti Mildred Benson, autrice di 23 dei 30 volumi), Hardy Boys ( creati da Edward Stratemayer) e I 3 Investigatori (romanzi degli anni ’60, scritti da Robert Arthur). Ma pochi sanno che, negli anni 90, Mondadori ritentò la formula vincente (Le tre serie si erano tradotte in un grande successo commerciale) presentando le opere destinate ad un pubblico adolescenziale di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, in una nuova serie, assolutamente ignorata sia su Wikipedia sia su Blog dedicati a tali romanzi per ragazzi.

Erano romanzi  aventi come protagonista quel Sans Atout cui Pierre Boileau già nel 1949 aveva dedicato un suo romanzo : Sans Atout en danger, tradotto da Pagotto come « L’ultimo proiettile ».

La serie comprendeva :

 

1990 – Sans Atout e il cavallo fantasma Giallo ragazzi Mondadori n°9

1990 – Sans Atout e l’uomo con la daga Giallo ragazzi Mondadori n°10

1990 – Sans Atout e le pistole rubate Giallo ragazzi Mondadori n°11
1990 – Sans Atout in bocca al lupo Giallo ragazzi Mondadori n°12
1990 – Sans Atout e l’aggressore invisibile Giallo ragazzi Mondadori n°13
1990 – Sans Atout e una strana scomparsa Giallo ragazzi Mondadori n°14
1990 – Sans Atout e il cadavere misterioso Giallo ragazzi Mondadori n°15

 

Ma non esauriva tutti i titoli, giacchè nel 1993, in una nuova serie chiamata Giallo Junior, Mondadori ripubblicava in unico volume due avventure di Sans Atout, Sans Atout e il cavallo fantasma e Sans Atout e l’uomo con la daga, pubblicate precedentemente nell’altra serie, ma aggiungeva  anche una delle due opere senza personaggio fisso, La Canzone della paura (La Mélodie de la Peur).

In realtà la serie completa dei due romanzieri francesi comprendeva anche un ottavo romanzo, rimasto inedito in Italia, perché pubblicato in Francia allorquando la serie italiana dei precedenti romanzi era già in uscita (1990) ? oppure quest’ottavo romanzo non fu pubblicato perché la coppia non era più tale, in quanto Boileau era scomparso da un anno? Non lo. Il romanzo in questione è Sans Atout, la vengeance de la mouche, come si evince dall’elenco dei titoli in francese:

 

Sans Atout et le cheval fantome, Paris, Rageot, 1971

Sans Atout contre l’homme à la dague, Paris, Rageot, 1971

Les Pistolets de Sans Atout, Paris, Rageot, 1973

Sans Atout dans la gueule du loup, Paris, Rageot, 1984

Sans Atout, l’invisible aggresseur, Paris, Rageot, 1984

Sans Atout, una étrange disparition, Paris, Rageot, 1985

Sans Atout, le cadaver fait le mort, Paris, Rageot, 1987

Sans Atout, la vengeance de la mouche, Paris, Rageot, 1990

 

Come si vede, l’ordine di uscita della serie Mondadori seguiva esattamente quella originale francese (altro indizio di come nella vecchia Editrice Mondadori si trattavano gli autori, e i lettori)

Oggi parlerò del secondo, Sans Atout contre l’homme à la dague, tradotto in Italia con Sans Atout e l’uomo con la daga

Sans Atout è un giovane quindicenne figlio dell’avvocato Robion. Si chiama più propriamente François, ma tutti lo chiamano Sans Atout. La ragione è esemplificata in una nota, a margine di pag. 9 dell’edizione italiana: “Il soprannome implica un doppio senso che sembra quasi un controsenso. Se da una parte significa, infatti, senza chance, senza fortuna, dall’altra fa riferimento a una precisa situazione del bridge che si chiama appunto sans tout. Contrariamente al primo significato, il riferimento al bridge indica una circostanza favorevole: il fatto di avere in mano, cioè, le carte vincenti (l’asso e le figure). François nel primo significato è disordinato, e l’ordine, gli dice il suo professore, è il migliore atout della vita. D’altra parte, però, è estremamente intelligente, ed ha quindi in mano le carte vincenti.”

Segue il padre presso un tale, il signor Royère, un mercante d’arte che vive in un castello a La Chenaie, che ha richiesto, attraverso l’intervento del suo medico, il dottor Dodin, l’aiuto del padre di Sans Atout. Il motivo? Qualcuno ha lacerato una tela di Julian Fevre, un pittore in ascesa che lui aveva appeso al muro dinanzi ad una famosa tela di Caravaggio, L’uomo con la daga. Il fatto inquietante è che Royère afferma che nessuno si possa essere avvicinato al quadro in oggetto, perché l’unica via per accedervi era nel suo raggio visivo e slui non ha visto nessuno. Per di più chi mai si sarebbe potuto prendere il disturbo di distruggere una tela senza valore quasi mentre dirimpetto ad essa c’è un Caravaggio? Il fatto è che il soggetto caravaggesco, L’uomo con la daga, ha un aspetto inquietante per via degli occhi, dipinti così bene, da insinuare il sospetto che siano vivi. Inoltre ha una storia fatta di disgrazie: chi nel passato ha posseduto questo quadro, è stato vittima di disgrazie o lui direttamente o qualcuno della sua famiglia; anche Royère è uno di questi, avendo perduto da cinque anni, moglie e figlio in uno spaventoso incidente stradale: da allora è sempre in lutto.

Quindi nessuno potrebbe aver lacerato quel quadro, eppure qualcuno è stato: i domestici? Impossibile: sono fidatissimi. Royère si è fissato che sia stato L’uomo con la daga.

Tuttavia la fissazione ben presto diventa altro quando arriva Robion: infatti è proprio Sans Atout a ritrovare un biglietto in cui si comunica la volontà di andare via: ma chi mai vorrebbe andarsene? La firma? Una daga.

Sicuramente qualche malvivente sta giocando sulla buona fede del conte e sulla sua impressionabilità per portargli via la tela preziosa. E così montano la guardia i due uomini e Sans Atout, ma tuttavia qualcuno, vestito con una cappa ed una daga, fugge portando via il quadro: effrazione non v’è stata, quindi dev’essere stato qualcuno dall’interno.

Ben presto tuttavia a sancire che non vi è nessuna presenza inquietante ma solo un manigoldo, arriva la lettera di riscatto: soldi in cambio della restituzione del quadro. Viene approntata la somma, ma il ragazzo, senza nessuna approvazione da parte di suo padre, sostituisce i soldi con carta da giornale.La conclusione? Il quadro viene recuperato, ma poi il malvivente si vendica e inaspettatamente rapisce proprio Royère, 8uscito sul suo calesse.che ritorna indietro con la giumenta, ingiungendo questa volta di consegnare i soldi e il quadro in cambio della vita del mercante d’arte.

Il giovane, avendo capito come il cavallo avendo ritrovato la strada del ritorno può essere che trovi anche quella dell’andata, vi si affida e arriva nel posto dov’è tenuto prigioniero Royère ma non si avvede di essere stato scoperto e anche lui viene preso prigioniero in un vecchio mulino in disuso.

Coi suoi occhi vede Royère tenuto prigioniero nella stanza più in alto nel mulino ma anche un individuo conciato come l’uomo con la daga che comunica lasciando biglietti, una volta che apre la botola di comunicazione con la stanza.

Ora Sans Atout verrà liberato e sarà proprio lui a portare soldi e quadro all’appuntamento, ma il malvivente non sa che il ragazzo ingegnosamente porterà con sé una cinepresa modificata per riprendere i soggetti nel suo campo visivo, una volta collegatogli un cavetto di nylon. In questo modo inquadrerà anche il malvivente e riuscirà a risolvere il mistero.

Bel romanzo breve , succulento, facile da leggere (bastano tre ore). La scrittura è quella di Boileau, del Boileau anni quaranta: le varie interiezioni, con cui descrive l’azione del giovane, rimanda ai suoi romanzi anteguerra, e rivela tutto sommato un tipo di scrittura vecchio stampo.

C’è un mistero, in sostanza, che concerne l’apparizione di un malvivente e la sua scomparsa da un corridoio la cui unica via di accesso è sorvegliata dal proprietario di casa. Se è accertato che non vi sia lì nessun tipo di passaggio segreto, ne discende solo una doppia possibilità: o qualcuno è entrato o qualcosa si è materializzata per poi svanire. Eliminata l’impossibilità, ne discende che solo l’alltra ipotesi è quella giusta. Ma a questo punto discendono altre due ipotesi: o il proprietario di casa si è sbagliato o ha visto male oppure…   Ed è proprio questo oppure, per impossibile che possa essere, condurrà il lettore alla soluzione.

In questo, Boileau si collega ai suoi romanzi precedenti, dove è sempre questo quid, questo qualcosa che non potrebbe essere tale in un primo tempo, ma che poi si rivela essere la tessera mancante del puzzle, a tenere unita la storia ed il problema che soggiace: perché tutto sta in piedi se è vera una cosa detta ad un certo punto del romanzo. Nel momento in cui, quella verità si rivela essere una bugia, automaticamente tutto il castello delle supposizioni crolla, e nasce un’altra idea che per quanto assurda possa essere troverà alla fine del romanzo la sua base.

Io francamente, pur non capendo per quale motivo fosse accaduta una tale cosa, ho individuato il responsabile già a metà del romanzo: Boileau non si smentisce mai. Dico Boileau e non Narcejac, perché qui c’è poco di Narcejac e molto di Boileau: Narcejac è presente più che altro nelle scene di azione, che non sono male. La caratteristica dei romanzi di Boileau è sempre quella: non è importante individuare il colpevole di per sé ma piuttosto risolvere la situazione impossibile: una volta che si sia risolta, automaticamente il responsabile è facile individuarlo. O anche può anche essere individuato il responsabile di per sé, ma se non si darà soluzione al quesito impossibile, non si potrà con certezza attribuire la colpa ad un determinato soggetto.

Devo dire che la sottigliezza psicologica che è alla base dell’azione del colpevole è notevole, ed è una caratteristica che una sorta di marchio di fabbrica della coppia: francamente non ci sarei mai arrivato, se non fosse stato spiegato, perché il colpevole ruba il quadro, poi lo restituisce e poi ancora lo rivuole indietro. A questa motivazione psicologica si associa un’altra più irrazionale, che è una conseguenza di una serie di disgrazie.

Bel romanzetto. In quest’estate in cui saremo costretti a leggere cose beh non certo molto stuzzicanti, a meno che non si legga qualcosa di Polillo o qualcosa che non si è letto e si possieda (io ho tantissimo da leggere), anche un romanzo per ragazzi di una grande accoppiata storica, può risollevare un pomeriggio sotto l’ombrellone.

Pietro De Palma

Pierre Boileau-Thomas Narcejac : Sans Atout e l’aggressore invisibile (L’Aggresseur invisible,1984) – trad. Gilda Piersanti – Il Giallo per ragazzi, Mondadori, 1990

$
0
0

Seconda puntata sulla serie per ragazzi di Boileau-Narcejac, che poi tanto per ragazzi non mi sembra, semmai fu il tentativo di cavalcare quell’onda degli anni ottanta in cui c’era una scoperta delle letteratura “juvenile” come la chiamano in America.

Questo, rispetto a quello che ho analizzato qualcvhe giorno fa, è ancora più da adulti, presentando un plot di tutto rispetto, con due vittime, e colpi di scena a volontà. Dei romanzi scritti, mi pare forse il migliore, ed è legato persino per una certa cosa, ad un romanzo di molti anni prima di Pierre Boileau, pur differenziandosi nella trama, resa più accattivante dalal partecipazione di Narcejac, ritengo.

Questa volta Sans Atout, a causa della sua bronchite, avendo il suo medico detto ai suoi genitori che abbisogna di un periodo di riposo e di ossigenazione, sta accompagnando il padre all’Isola di Oleron, sull’Oceano Atlantico, al Castello di Bugeay (il posto è reale, il castello no. almeno un castello che si chiami così). In sostanza Raoul Chalmont, il figlio di Roland Chalmont, proprietario di quel castello, ex compagno di studi dell’Avvocato Robion, padre di François (Sans Atout), vi si è rivolto perchè risolva un mistero: il nonno di Raoul è stato assassinato misteriosamente un anno prima, e da allora girano voci su un apparizione nelle sale del castello, cosa che sta mandando alla malora gli affari di Raoul convinto di poter alleggerire le spese di gestione del castello, trasformandolo in un albergo.

Del resto quest’atmosfera sinistra, influenza persino il giovane François, il quale nel mezzo della notte sente come la presenza di qualcuno, ma è troppo spaventato per vedere in giro cosa sia, anzi si raggomitola sotto le coperte, salvo suonare il campanello e far accorrere il maggiordomo, il vecchio Simon, il quale dopo aver bussato, rassicura il giovane sull’infondatezza delle voci e delle dicerie.

Il padre, ha cominciato ad investigare e si è rivolto al commissario che ha gestito la cosa all’epoca dell’assassinio, non riuscendo però a trovare significativi indizi: il vecchio è stato assassinato ma in condizioni impossibili: qualcuno lo ha ucciso sfondandogli il cranio, ma l’oggetto non è stato trovato. E neanche l’assassino, visto che nel brevissimo intervallo di tempo tra il grido e la scoperta dell’assassinio, nessuno è stato visto scappare, e del resto le tre vie erano presidiate: Simon al piano superiore, Raoul a quello inferiore assieme ad un cugino del padre, Georges Durban, Roland passeggiava nel parco. E cosa ancora più pazzesca, l’unica via possibile sarebbe stata quella del parco, perchè la finestra è stata trovata aperta: ma se qualcuno fosse salito arrampicandosi sull’edera che è abbarbicata al muro, e poi sceso per la stessa strada, sarebbero state trovate tracce, foglie strappate, danni al fusto, impronte. Ed invece…nulla.

L’avvocato Robion comincia a sospettare che sia uno dei presenti in quel momento: ma come avrebbe fatto? Del resto dalle testimonianze non emerge nulla di interessante: Simon è stato quello che ha scoperto la vittima, ed è sempre stato molto devoto al vecchio, avendolo quello cresciuto in quanto il ragazzo era in sostanza un trovatello; Raoul era al piano di sotto in compagnia del cugino, Roland era nel parco: Roland è quello che al tempo aveva pessimi rapporti col padre, per via della gestione del castello: il vecchio voleva vendere il castello ad un compraore esterno, ma Roland vi si opponeva. Dopo la morte del vecchio, Roland si è rinchiuso in se stesso, sta ore ed ore chiuso nella sua ala, a forgiare soldatini e ricostruire le fasi della battaglia di Verdun, con precisione e cura maniacale, rifiutando di vedere anima viva, come se fosse roso dal rimorso, o comunque dal dolore per la perdita del padre, al quale era molto attaccato.

Al castello padre e figlio hanno trovato pochi villeggianti: una coppia e Alfred Nourey, un riccone. E’ lui colui al quale il padre stava per vendere il castello? E’ lui a diffondere storie sulla presunta infestazione del castello.

Se tuttavia Simon fa di tutto per ridimensionarle, qualcosa in effetti accade: l’auto della coppia di villeggianti viene ritrovata piena di letame, cosa che non si riesce a capire da dove venga, non essendoci nessuno nei paraggi che ne abbia in quantità; inoltre Sans Atout, rinviene per caso nella sua valigia, volendo prendere un paio di calzini, un piccola croce, con un elmo attaccato, una croce con due lettere incise S A, che prima non c’era. Ha saputo da Nourey che anche lui ha trovato dei sassolini che prima non c’erano nella sua stanza, e i sassolini sono il primo indizio di un Poltergeist. E infine, nel cuore della notte, scoppia un incendio in un’ala del castello, intorno ad una poltrona, che rovina irrimediabilmente la tappezzeria della camera: anche qui, senza spiegazioni, tranne quella di uno scherzo di qualche spirito infastidito da qualcuno.

Sans Atout si rivolge a Simon che gli presta ascolto, anzi lo introduce nelle stanze del vecchio Roland, e in un cassetto trovano centinaia di quelle croci.

Sans Atout non sa che pesci pigliare: sospetta di tutti. Sospetterebbe anche di Simon , che poi cosa c’entrerebbe col resto? Ma sospetta innanzitutto di Roland e di Raoul. Anche di Durban , ma soprattutto di Nourey, il cui gioco non sta capendo. Ovviamente il più sospettabile è Roland, perchè ammesso che fosse effettivamente nel parco, avrebbe dovuto vedere l’assassino che invece non ha visto. Eppure ad un certo punto anche Roland viene trovato morto, ucciso da un colpo di pistola, ma la pistola non si trova, quindi non è suicidio ma omicidio. Eppure anche in questo caso nessuno avrebbe potuto farlo, perchè apparentemente gli altri presenti nel castello erano altrove: la vittima è stata trovata nel museo, con le sue centinaia di piccole croci sparse attorno, vestito, come se aspettasse qualcuno. Qualcuno deve essere venuto dall’esterno, ma mancano le prove che ciò sia avvenuto.

L’Avvocato Robion scoprirà l’astuto colpevole, con l’aiuto del figlio, dopo aver saputo dell’avventura del figlio e della presenza di qualcuno nella sua stanza, poi fuggito prima dell’arrivo di Simon.

Il romanzo è scritto meravigliosamente, tenendo presente che è rivolto precipuamente ad un pubblico adolescenziale: quindi castelli e fantasmi. Ma emerge anche forse il tentativo di raccogliere altri lettori, perchè la trama ricca di colpi di scena, è contorta e “nera” quanto basta: vi sono due vittime, morte in situazioni impossibili. Ed un’atmosfera palpabile, densa. I sospettati ci sono, ma i moventi no. E’ proprio la mancanza di moventi in sostanza a spingere il padre di François a cercare una soluzione alternativa che spieghi e ricostruisca le due morti. In sostanza la prima è stata un assassinio non premeditato, se vogliamo l’aggravamento di un’aggressione precedente; la seconda è stata un suicidio, ma resa omicidio dalla sparizione dell’arma. Perchè l’assassino abbia voluto simulare un altro assassinio, è il tentativo di ampliare le voci di un’infestazione sovrannaturale.

Anche qui, anche in questa mancanza di moventi e quindi nell’impossibilità di sondare psicologicamente le personalità dei vari attori del dramma, si attua quella che è la caratteristica del romanzo francese ad enigma: proporre un problema insolubile, risolto il quale l’assassino non può che essere una determinata persona. In sostanza il Mystery francese è l’opposto di quello anglosassone: lì il mistero si risolve, solo inquadrando l’omicida e analizzando i moventi e gli alibi; qui si scopre l’assassino, risolvendo prima il puzzle. E’ un po’ una sorta di rivincita sciovinista contro gli amici-nemici “cugini” inglesi: non era stato forse Maurice Leblanc il primo a ridicolizzare il metodo deduttivo anglosassone, opponendo a Sherlock Holmes il suo Arsene Lupin, in Arsene Lupin contro Herlock Sholmes?

Il romanzo ha ancora altre attrattive, prima fra tutte quelle di riutilizzare una idea geniale già maturata molti anni prima in un capolavoro di Pierre Boileau, analizzato già in questo blog: L’assassino invisibile (L’assassin vient les mains vides, 1945):


 http://lamortesaleggere.myblog.it/2015/04/08/pierre-boileau-lassassino-invisibile-lassassin-vient-les-mains-vides-1945-trad-aldo-albani-i-grandi-gialli-pagotto-n15-anno-iii-milano-1951/


non solo riutilizza una stessa idea, ma anche personaggi presenti in quel romanzo di trent’anni prima: Simon, il maggiordomo devotissimo al padrone in L’Invisible aggresseur che accorre all’omicidio del vecchio in pantofole e vestaglia, fa da pendant con il Simon in L’assassin vient les mains vides, devotissimo alla vecchia zia brutalmente assassinata, perchè da loro allevati quando erano in tenera età. Tutto il resto cambia. E devo dire anche in meglio, visto che qui l’atmosfera è maggiormente densa di quel romanzo precedente.

Inoltre un’altro motivo di interesse è dato dalla strana forma di racconto: in sostanza, il romanzo è scritto in forma di diario, nella forma colloquiale di una seie di lettere che François scrive al suo amico Pierre, per alleviare la solitudine, parlandogli in tempo reale di quello che sta facendo, delle cose che gli accadono, e infine della soluzione del padre

L’escamotage stilistico non è male, perchè in certo qual modo assicura una certa tensione nello svolgimento della storia. Ed è anche la prima volta che un romanzo epistolare non mi annoi, dopo che anni fa, cercai, nelle mie estati di ventenne appassionato di letture romantiche, di leggere l’Oberman di Etienne Pivert de Sénancour, non riuscendolo a finire.

L’assassino non è casuale, ma è il meno probabile, anche se il suo movente visto da una certa ottica, è il più forte di tutti. In più il romanzo, è molto classico in quanto l’assassino non cala dal cielo ma è sempre presente nella storia, ed un certo suo comportamento agli inizi dell’indagine del padre indirizzerà alla soluzione finale: in questo, la componente psicologica fa il suo capolino. L’investigatore capendo come l’assassino si sia comportato in altra circostanza , lo inchioda sulla sua caratteristica principe: la mimesi, che gli ha consentito di farla franca un anno prima, e che gli consentirebbe di rifarla franca, se l’avvocato Robion non lo inchiodasse scoprendo la sua capacità camaleontica di mimetizzarsi, e di cambiare personalità e modi di fare all’occorrenza.

Siccome il romanzo prende molto dal primo ed in sostanza utilizza l’escamotage narrativo del romanzo di trant’anni prima, ed essendo questo molto difficile a trovarsi, ritengo che sarebbe per il lettore italiano il caso di verificare se vi sia la possibilità di reperire questo romanzo con Sans Atout, in quanto trattasi ancora di un eccellente romanzo.

Me ne aveva già anticipata la qualità due anni fa, il noto critico ed editore americano John Pugmire, un mio buon conoscente, il quale dopo aver letto il mio articolo in inglese (traduzione di quello già in italiano) sul mio blog in lingua inglese, su L’assassin vient les mains vides, mi aveva scritto:

Dear Pietro,
I thought there was something familiar about your description, so I looked up my copy of l’Invisible Aggresseur by Boileau-Narcejac, and it’s the same story.
l’Assassin Vient les Mains Vides was Boileau’s earlier version which was never published in book form. Your analysis nevertheless applies and is very good, as usual.

Un motivo in più per cercarlo, mi pare.


Pietro De Palma

E ci risiamo: distruggiamo le blatte! Analisi semiseria sull’ editoria poliziesca italiana

$
0
0

E’ arrivata l’estate, anzi possiamo dire che stiamo ad estate inoltrata. E come sempre facciamo il punto sull’analisi dell’andamento della letteratura poliziesca in Italia.

Parleremo di Mondadori, delle collane da edicola, di Polillo, e di qualcos’altro

Stendendo un velo di pietoso silenzio sulla serie degli apocrifi sherlockiani, che continua la sua marcia indefessa, soddisfacendo con grande entusiasmo gli aficionados (almeno questo dicevano tempo fa), senza che qualcuno possa mettere fine allo stillicidio di titoli, di autori uno più anonimo dell’altro (tranne Mayer, ma quello era forse il solo o uno dei pochi apocrifi che avrebbero dovuto pubblicare, e almeno lo hanno fatto!), bisogna anche parlare del resto.

L’anno scorso – ve lo ricordate – dicevano che Gardner era il più venduto dei Classici, e infatti ne uscirono parecchi. Poi, miracolo, dite voi, i Gardner si sono volatilizzati: non piacciono più? Bah. La serie ristagna: qua e là dei pezzi buoni, qua e là delle quisquilie, delle pinzillacchere, a citare il grande Principe.

Il mese scorso è arrivata la prima puntata, sempre che si tratti di prima uscita di serie completa, dei romanzi di De Angelis con il Commissario De Vincenzi. Ripetendo quanto dissi in un commento un mese fa sul Blog, se l’uscita è la prima di tante per consegnare alla storia mondadoriana la serie dei romanzi di De Angelis è molto ben accolta (anche se non capisco per quale motivo non si sia sfruttata la ricorrenza dei settant’anni dalla morte, che coincideva con la fine dei diritti editoriali, tre anni fa, e di romanzi se ne sarebbero venduti di più, come accade sempre quando vi sono le ricorrenze!). Se invece si è trattato di una uscita isolata, è stata una cavolata, lo dico bello e preciso, perché a questo punto la scelta imponeva almeno L’Abergo delle tre rose, Il caso delle tre orchidee o Mistero a cinecittà.

In estate c’è sempre un aumento esponenziale di insetti molesti: zanzare, blatte, formiche. Distruggiamole tutte! Per il Giallo Mondadori le zanzare sono in romanzi della Perry, le blatte quelli della Bowen, le formiche il resto (sempre della stessa specie).

Arriva Anne Perry e tutti si strappano i capelli: è arrivata la grande Anne!  Io la penso diversamente: Dio ce ne scampi!

Inizialmente, non lo nego, e devo ammettere che ne ho parecchi anch’io dei primi, la Perry diceva qualcosa di nuovo: scriveva dei Gialli vittoriani, insomma, un filone che pareva frizzante. Ma poi è diventata noiosamente, tediosamente ripetitiva: ne leggi uno, e sai già come andranno a  finire gli altri. La caratterizzazione è sempre la stessa: torbidi segreti familiari, atmosfere plumbee, omertà (sembra di stare nel profondo Sud, più profondo di dove abito io), corna nell’ambito di rispettabili famiglie, etc etc. La vicenda poliziesca è solo un pretesto per parlare sempre delle solite cose. Basta con la Perry!

Invocavamo anni fa la fine della serie dei Gatti, ed è arrivata lei! E la Bowen: peggio che andar di notte! Piacerà pure tantissimo al pubblico femminile a caccia di avventure giallo rosa, ma questi sono romanzi non da Gialli Mondadori ma da serie Harmony ! Sempre le stesse cose: non ripeto le cose che ho detto per la Perry. Oramai i romanzi son sempre gli stessi, perché in maniera ripetitiva, seguendo una teoria sempre uguale, accadono fatti guarda caso simili gli uni agli altri. Ora se ne accorgono anche coloro che osannavano alla Bowen, ma quello che cominciano a dire gli altri ora, io lo dico da mesi, da anni: è una serie stantia, fermatela!

Sul romanzo annuale vincitore del Tedeschi, non parlo: non avrebbe senso. E’ un’opera prima: si vedrà nel prosieguo se e come questo autore si evolverà e cosa farà. Dico solo che non è un romanzo classico e questo la dice tutta: di autori che abbiano scritto romanzi classici vincitori del Tedeschi, ce ne sono stati pochissimi: Giulio Leoni, Comastri Montanari,  Lorenzo Arruga (che però dopo un altro romanzo , ha dato forfait, riprendendo a fare ciò che fa da tanti anni con grande successo: il critico musicale), Luceri, Pietroselli. Altri non mi sovvengono, mi perdonino gli interessati. Si fanno sempre romanzi che hanno a che fare con situazioni della vita di ogni giorno o quasi e da lì si traggono gli spunti: il Giallo Classico è oramai un limbo in cui nessuno pesca più. C’è stato il bell’esordio di Stefano (aho, Stefano ma quando ne sforni un altro?). Poi…silenzio.

IL PERICOLO GIALLO

Tra gli inediti, Gialli del passato non se ne vedono quasi più: è uscito mesi fa un Marsh; dei contemporanei, un Lovesey (ma voci di corridoio dicono che è possibile che non se ne vedano più in futuro), un Martin Edwards (dopo tantissimo tempo), un Morson recentemente. Faccio pochi nomi perché questi sono quelli che ho acquistato, mentre prima non facevo che acquistare romanzi Mondadori: si capisce dove io voglia andare a parare: risparmio soldini in gran quantità (mia moglie è contentissima, tanto quando creperò, dei miei adorati Gialli farà un grande falò, a meno che io non costituisca una fondazione e li metta lì). Lei ha l’avversione per i Gialli, dico i romanzi di colore Giallo: per lei sono tutti vecchi. . Tollera solo quelli rossi, i Polillo, che costano di più, perché sono nuovi: non so se anche lei perori inconsciamente la causa del Giallo classicissimo , fatto sta che i soldi che risparmio coi Gialli Mondadori, vanno a finire nelle tasche di Polillo che continua in maniera indefessa anche lui (ma Dio lo benedica!) a sfornare libri, a cadenze regolari.

La mia collezione de I Bassotti Polillo

La mia collezione de I Bassotti Polillo

E vedo che mia moglie, quando arrivano in casa nuovi Polillo, almeno non storce del tutto il naso, perché sono nuovi, e possono ben stare nella buona libreria di casa (le donne son quasi tutte uguali, con alcune eccezioni, beninteso: per esempio una eccezione è una mia amica che vive a Catania). E io posso tirare un sospiro di sollievo. Però i miei buoni gialli li ho stipati in librerie, in scatoloni, in scaffali, anche a casa dei miei, ultranovantenni. Mio padre è indifferente, ma mia madre, negli sprazzi di memoria (ha un inizio di Alzheimer) si ricorda di quando leggeva i romanzi di Agatha Christie che gli passavo e commentavamo insieme le storie. Quelli erano i tempi che compravo i Mondadori, ogni settimana! E quando uscivano dei volumi speciali, compravo anche quelli: mi ricordo quello che mi feci regalare da mamma ad un mio compleanno: Il segreto delle campane di Dorothy Sayers (Collana Altri Misteri).

I romanzi degli autori anni ’30 sul Giallo Mondadori non appaiono più: Forte è attratto dalla narrativa contemporanea, non è cosa segreta. Berkeley oramai assieme ad Allingham, a Innes e altri, paga lo scotto di appartenere ad un tempo che viene ritenuto oramai da alcuni “ANTICO”. Accanto a queste considerazioni soggettive, ve ne sono alcune di tipo oggettivo, che riguardano i diritti di autore, che abbiamo visto (se ne stanno accorgendo anche i più ingenui) stanno causando ripetute rinunce a pubblicare romanzi di autori che prima venivano pubblicati. Purtuttavia, un discorso del genere ce lo aspetteremmo da parte di piccoli editori non da parte di un colosso che ha acquistato tempo fa un altro colosso, diventando un supercolosso: spendi tanti soldi e poi economizzi su somme che al confronto di altre sono “irrisorie”?

Però questa considerazione ci può far ben pensare come i Gialli da edicola Mondadori non abbiano per l’attuale proprietà un valore proprio: se davvero lo fosse, basterebbe un po’ di pubblicità in più, come faceva il buon Arnoldo quando uscivano film (mi ricordo Assassinio allo Specchio, o Poirot sul Nilo, con concorsi a latere e inserto con fotografie tratte dal film), per far decollare la testata, e farle abbandonare il limbo dove ora si trova.

Ma se vi è discorso circa i Diritti d’Autore, non ci si può chiedere quale sia la prospettiva degli agenti italiani, pochi ma potenti, e che detengono un parco di autori molto cospicuo (anche autori che nessuno ricorda più, accanto ad autori che tutti ricordano): non so se i Diritti siano aumentati o siano quelli di prima, magari sono sempre gli stessi, ma mentre quando non c’era crisi potevano essere tranquillamente pagati, ora che le vendite latitano, si cerca di risparmiare: può essere anche questo beninteso, come pure che i diritti d’autori costino di più. Quello che vorrei dire è questo: scusate Signori, ma non sarebbe il caso che vi accordaste? Un accordo mancato significa che da una parte i romanzi non si pubblicano più, ma dall’altra i diritti non si vendono più. E in questo chi ci guadagna? Nessuno. Ci perde la casa editrice, che non pubblicando più romanzi di autore, vede il proprio bacino lettori diminuire; ci perde l’agente, perché i diritti che avrebbe venduto, non li vende più; e ci perdono gli eredi degli autori.  Mi hanno detto che anni fa, quando la buonanima di Michael Dibdin viveva, cercarono in casa Mondadori di pubblicare qualche altro suo romanzo. Ma siccome i diritti erano alti già allora, pensarono bene di aggirare l’agente e rivolgersi direttamente all’autore: che li mandò al Diavolo, cioè li rimandò all’agente( perché questi hanno la commissione di vendere i diritti di un certo scrittore in un determinato Paese). Conclusione: i libri non si fecero più, l’agente non vendette i diritti, e Dibdin non intascò altri soldini.

Ora i Diritti di autore non coinvolgono solo Mondadori ma altre case editrici, solo che nel caso in cui Mondadori vendesse qualcosa senza aver pagato i diritti e venisse scoperta, pagherebbe una multa molto maggiore di quella inflitta alla piccola casa. Così mi disse anni fa un esperto del settore. Per quello ci vanno molto cauti. Ma state sicuri, che il problema diritti è anche per Polillo! Solo che Polillo fa un certo discorso: punta cioè su una determinata vendita, e aspetta i risultati. Un autore va bene: metterà mano al portafoglio e pagherà i diritti anche se alti per vendere altri libri di quell’autore; non va bene? Non ne pubblica più. Vi sono casi tuttavia in cui anche per lui un certo autore – e quindi l’agente che detiene i diritti a vendere i suoi libri –è vietato. Solo che, nella massa di romanzi di autori classici che vengono venduti, quelli che non lo sono, anche se saltano all’occhio, passano più inosservati di come sarebbero se le vendite fossero poche. Del resto Polillo, essendo un piccolo editore, e applicando nei confronti della sua collana l’economia del buon vecchio padre di famiglia, non fa passi più lunghi della sua gamba: non acquista un pacchetto di titoli per averli a meno cadauno, ma acquista volume per volume.

A questo aggiungasi un dato assai rilevante, a cui non viene dato però il giusto peso, ed è arrivato il momento di parlarne: le pubblicazioni Mondadori sono mensili, appaiono cioè nelle edicole, ogni mese. Anche se sulla copertina, in quarta, rimane la vecchia dicitura “quindicinale”, che tuttavia si riferisce ad un tempo passato. Un tempo, quando la tiratura era effettivamente quindicinale, cioè ogni volume usciva a distanza di quindici giorni, poteva anche verificarsi che un certo romanzo fosse un flop perché mal accolto dal pubblico, ma la cosa era superata dal fatto che un altro romanzo sarebbe uscito quindici giorni dopo, e magari sarebbe stato altro. Ancora ancora, quando di volumetti ne uscivano 6, o anche 4, anche mensili, l’uscita di quattro romanzi simultanea faceva da scudo ai romanzi più leggeri; ora invece, uscendone solo due al mese, se uno dei due o entrambi sono male accolti, la cosa assume ben altro significato, soprattutto per il settore vendite della casa Editrice. Ecco spiegato allora per quale motivo si tenda a vendere volumi i cui diritti costino meno, oppure quelli di autori italiani in cui la traduzione non si paghi, oppure quelli che per alcuni venderanno più di altri. Anche risparmiando sulla qualità e puntando solo sul dato di vendita.

Per di più la cadenza mensile anziché quindicinale ha avuto alla lunga un effetto deteriore sulla visibilità della casa editrice, e sul mantenimento di una certa fetta di mercato: se i volumi avessero mantenuto la cadenza quindicinale, la casa editrice attraverso le sue collane, avrebbe attratto maggior pubblico di quanto ne attrae ora, perché la presenza simultanea a breve distanza di tempo di più volumi di più autori avrebbe agito da richiamo calamitante, più di quanto accada ora, che già si pagano gli effetti deteriori di campagne editoriali sempre meno qualitativamente interessanti, e per di più i due volumetti escono di mese in mese. Cioè si aspetta un mese per vedere uscire un volume, e se le scelte dell’editor non collimano con le proprie, va a finire che prima di comprare un volume di un genere amato, di tempo ne passerà certamente tanto in più.

Ci avevate pensato?

Fronte Speciali: io non dico mai nulla a questo proposito perché Mauro è un amico e gli voglio bene, perché so quanto impegno mette nelle sue cose. E so anche che con la faccenda dei diritti editoriali e di scelte impostegli da altri e limitazioni, deve far assestare la barca, con maggior bravura di quanto accadesse tempo fa quando le scelte erano più variegate. Per cui comprendo i suoi sforzi. Tuttavia devo puntualizzare che l’ultimo Speciale in edicola poteva anche non essere varato: a che servono tre romanzi che si trovano tutti in libreria, e per di più in case editrici di proprietà Mondadori? Edgar Allan Poe (strapubblicato e straconosciuto) trovabile oramai in ebook gratuito, Emilio De Marchi (meno conosciuto ma presente nella collana Bur Rizzoli), John Buchan / I 39 scalini, già presente nella collana Oscar Mondadori (anche se esaurito), o in Facci Editore. Se vuole essere un tentativo di far spendere meno soldi a dei neofiti, allora trovare tre romanzi in un volume che costa 6,90 euro a fronte di 13 euro per Buchan (Facci editore) e De Marchi (BUR, 12 euro), per un totale di 25 almeno, ha un senso. Ma solo per questo. In compenso Mauro tempo fa mi ha detto che il prossimo Speciale che apparirà in autunno, dovrebbe, a meno di slittamenti, contenere una rarità, un romanzo di un autore inglese assai poco conosciuto, precedentemente edito da altre case editrici piccole, e quindi virtualmente introvabile. Io l’ho cercato per anni senza risultato ed ora, ZAP !, Mauro me lo regala. Ce lo regala. Col beneplacito di Forte. Sempre poi che vada in porto.

Uscite in programmazione.

Annunciato un Chase inedito (era ora!), e un Van Dine che non esce da moltissimi anni (spero che sia almeno nella traduzione di Pietr o Ferrari, altrimenti non vale la candela: Signori, Il gioco è fatto! ).

Maureen Jennings è al quarto appuntamento, ed è chiaro che anche con questa autrice è stato acquistato un pacchetto di titoli (quelli con Murdoch, penso). Almeno Jennings è all’inizio di una serie! Però anche qui, atmosfere vittoriane. Io poi l’Inghilterra della regina Vittoria non la amo…

Apocrifi sherlockiani ancora.

Sul fronte Polillo, uscirà prossimamente ll capolavoro di Clifford Orr, una delle grandi camere Chiuse degli anni ’30,  The Wailing Rock Murders, presumibilmente col titolo “La casa sulla scogliera”. Mentre a fine agosto è in uscita nei Giunti, è annunciato The Tokyo Zodyac Murders di Soji Shimada, col presumibile titolo: Gli omicidi dello Zodiaco (un altro dei grandi capolavori non pubblicato da Mondadori).

Sul fronte Polillo si registra un’uscita in questo mese, luglio 2017 di Ethel Lina White, il suo Capolavoro, già pubblicato molti anni fa da Mondadori col titolo “La scala a chiocchiola” (ricordate il celebre film di Siodmak: da bambino mi causò una notte insonne!). Ricordo tra gli ultimi usciti, l’eccellente L’assassino del Luna Park, di Nicholas Brady.

In casa Eliot, invece segnalo gli usciti: Strano incidente al Claridge  e Omicidio a Villa Byzantine di R.T. Raichev (entrambi usciti l’anno scorso) che vanno a rimpinguare la sua serie di romanzi di giallo classico usciti sempre su Elliot; ultimamente poi è uscito un romanzo degli Anni Venti di Annie Haynes, Il delitto di Abbey Court (The Abbey Court Murder, 1923). In questo caso, per chi volesse, la mia amica Giuseppina La Ciura, sul suo blog ha recensito il romanzo:

http://l_oeil_de_lucien.blog.tiscali.it/2017/06/18/il-delitto-di-abbey-court-the-abbey-court-murder-1923di-annie-haynes-elliot2017/?doing_wp_cron

Infine su Adelphi segnalo un altro volume di racconti gialli di Simenon, ma non con Maigret, uscito nel 2017, l’eccellente: La fioraia di Deauville e altri racconti, ennesimo  volume di racconti di Simenon, sempre su Adelphi.

 

Pietro De Palma

 

 

 

Viewing all 212 articles
Browse latest View live